L’ultima strega. Una storia vera dalla Calabria del XVIII secolo
- Autore: Emanuela Bianchi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Un piccolo libro che narra di una donna di umili origini, Cecilia Faragò, che nella metà del Settecento venne accusata e processata di essere una strega. La sua vicenda aleggia ancora tra le strade e nelle case di un piccolo paese della Calabria, Soveria Simeri, non molto lontano da Catanzaro.
L’ultima strega. Una storia vera dalla Calabria del XVIII secolo (Oligo Editore, 2024) è il racconto di una storia vera, una narrazione di avvenimenti difficili da ricercare nella memoria della nostra storia e riportata alla luce dalla nostra brava autrice che l’ha voluta sottrarre all’oblio. Emanuela Bianchi, antropologa e attrice catanzarese, ha studiato all’Università di Roma La Sapienza e, nel 2004, ha costituito una compagnia teatrale che si occupa di teatro antropologico e interattivo. Nel cercare un’ispirazione per un lavoro teatrale si è imbattuta nella storia di Cecilia in un libro regalatole dalla madre e da quel momento è iniziata, scrive, la sua lunga avventura attraverso territori aspri, sguardi ambigui, memorie sepolte e identità ritrovate, fatta di sorprese, gioia e pazienza, tanta.
“ Il solo nominare Cecilia Faragò apriva un insolito conflitto sociale, una ferita irrisolta per la comunità.”
Cecilia, la strega, era sepolta nella memoria di duecento anni perché faceva paura, presente solo in alcuni documenti del tempo nell’Archivio di Stato di Napoli. Emanuela Bianchi nella sua veste di ricercatrice e antropologa, ha incontrato mille difficoltà nella stesura della sua storia, dai silenzi all’essere evitata da chi poteva avere informazioni: una storia lontana, ma ancora un tabù.
Ed era invece la voce di una donna che al di la di ogni possibilità e condizione sociale ed economica, nella sola coscienza di essere nel giusto, ha saputo avere dignità e coraggio e combattere da sola contro gli uomini potenti del suo tempo.
Perché una donna senza scrittura come Cecilia, scrive Roberto Alessandrini, nella prefazione al libro, era animata da ideali di autonomia e giustizia, incarna anche senza volerlo, il ruolo di chi precorre i tempi e apre le porte a un diverso modo di considerare i rapporti umani.
Uno dei periodi più tristi e tragici sono stati nel corso della storia gli anni di persecuzione e torture per le donne credute “streghe”; condotte con una tale crudeltà e indicibili torture che è importante e lodevole, come ha fatto la nostra autrice, portare ancora oggi alla luce tutto quello che è ancora sepolto nelle memorie e nei documenti storici. Cecilia conosceva le erbe e il loro medicamento fin da piccola: aveva seguito nei campi la nonna e la mamma e, più di chiunque altro, sapeva e aveva cura nella raccolta della verbena, detta “erba santa”, della borragine, della lavanda e dei fiori di tiglio.
Dal matrimonio con Lorenzo nacquero Sebastiano che prese la via del sacerdozio e Andrea che affiancò il padre nel lavoro dei campi e nella cura del bestiame. Dopo la morte di Lorenzo, Andrea, di salute cagionevole, si ammalò e Cecilia, al capezzale del figlio, chiamò i sacerdoti del paese.
Senza più suo marito con il dolore di un figlio morente “che le scavava un solco nel cuore”, non si accorse dell’inganno dei due parroci per sottrarre ogni bene in loro possesso.
La morte di Andrea pose la questione dei beni ceduti alla Chiesa, dei due sacerdoti che avevano raggirato il figlio con l’inganno della salvezza eterna e di lei stessa, di come avrebbe potuto continuare a vivere senza più nulla.
“A volte i preti sono più briganti dei briganti. ”
Si diresse da sola a Catanzaro, al Palazzo di Giustizia, in udienza per avere giustizia e accusata di stregoneria si rivolse a un giovane avvocato, fresco di studi, di appena vent’anni.
Di contro nel borgo iniziò una diffamazione nei suoi confronti, “le malelingue correvano in lungo e largo”, e dopo la morte di un parroco curato con un infuso d’erbe, Cecilia venne trascinata per i capelli nelle carceri del paese e la sua casa data alle fiamme. All’epoca le donne accusate di essere streghe, pur scampando il rogo, venivano perseguitate perché credute possedute dal demonio.
Un ministro di Re Ferdinando riferì a corte la sua vicenda: una storia di impostori e di arroganza. Cecilia divenne l’ultima strega a essere processata e assolta, in quanto il re dispose in tutto il regno di Napoli il decreto di abolizione del reato di stregoneria.
La storia di Cecilia è una delle tante sommerse che tre secoli di terrore ha processato, condannato e mandato al rogo le donne; qualsiasi donna avesse un tipo di indipendenza poteva essere considerata “strega”.
L'ultima strega. Una storia vera dalla Calabria del XVIII secolo
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