L’uomo di Elcito
- Autore: Maximiliano Cimatti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2017
Un’opera prima, un romanzo d’esordio decisamente maturo, un pezzo di storia nazionale, in un periodo, post risorgimentale e in un’area geografica, l’Appennino marchigiano, poco esplorati dalla saggistica e ancora meno dalla narrativa. È “L’uomo di Elcito”, pubblicato nel novembre 2017 da Meridiano Zero, marchio delle edizioni bolognesi Odoya (pp. 250, euro 16,00). Il nome dell’autore, Maximiliano Cimatti, appare per la prima volta in copertina ma non è del tutto sconosciuto. Under cinquanta, ravennate, ha firmato racconti anche gialli in diverse antologie, ha vinto nel 2016 il concorso letterario per inediti Luciano Pittori di Castelpiano (AN) e tiene lezioni di scrittura creativa per l’agenzia letteraria Scriptorama.
Non è un debuttante, quindi, men che meno allo sbaraglio, basta guardare (e apprezzare) l’incipit geniale: un sogno erotico che di colpo si trasforma nella dura realtà quotidiana di Anselmo Toschi. All’inizio del libro è caporale dell’esercito del Regno d’Italia, nel 1865. Con i superstiti del suo reparto digiuna da quattro giorni. Sono scappati tutti, anche gli ufficiali, terrorizzati dal colera, che miete vittime senza pietà, in un’Ancona diventata un enorme lazzaretto. Le truppe erano impegnate in un lurido compito da monatti, trasportare cadaveri e smaltirli. Ma i più se la sono data. Diserzione, un reato punito pesantemente dal codice militare.
Al brusco risveglio da un sogno piacevole è scioccante ritrovarsi circondati dal morbo. Col graduato Toschi, è rimasto solo quel pugno di soldati, senza ordini, senza collegamenti e senza viveri. Sono raggiunti dai reparti del colonnello Negri, che lo considera un eroe, lo promuove sergente, gli offre qualche giorno di riposo e poi lo spedisce a combattere i briganti che ancora infestano la Marca. Li comanda un fuorilegge entrato nel mito, Olmo Carbonari, che spadroneggia nell’alto Maceratese, intorno alla rupe di Elcito.
Prima di assegnargli riposo e nuovo incarico, il comandante chiede ad Anselmo di raccontare quanto successo. Un giovane soldato provvederà a rielaborare per iscritto il rapporto del sottufficiale. Fatto sta che Toschi e i suoi hanno qualcosa da nascondere. Non è andata come i nuovi arrivati hanno creduto di capire.
I lettori apprendono i fatti da Anselmo. Romagnolo di Bagnacavallo, è stato quarantadue giorni con Garibaldi, volontario tra le camicie rosse prima di arruolarsi nell’esercito regio ed essere inviato nella Marca interna, con le truppe che avevano il compito di proteggere i lavori della ferrovia che da Roma si apre la strada attraverso l’Umbria e l’Appennino per raggiungere l’Adriatico. I briganti assaltano i cantieri per rubare materiali e viveri e un drappello armato deve sorvegliare l’avanzamento delle opere e difendere il campo nottetempo. I soldati sono una ventina, al comando di un sergente e con un caporale come sottoposto, Toschi Anselmo.
Per gli operai il lavoro è durissimo. Spaccare pietre, posare traversine, avvitare bulloni, provare la tenuta dei binari con un carro con le ruote di metallo: se sobbalzano o si piegano, c’è da rifare tutto. Un lavoro d’acciaio per uomini di ferro e con caratteri di pietra: rissosi, piantagrane, attaccabrighe.
Gente da poco, impegnata in un’opera più grande di tutti loro insieme. Stanno costruendo una via ferrata, dal Lazio ad Ancona e da lì a Rimini. Con l’unità d’Italia è cominciata un’era nuova. La speranza è che stia nascendo un mondo diverso: il treno spazzerà via la miseria, caccerà indietro la fame. È quello che pensa Anselmo e che scrive l’autore. E scrive bene Maximiliano Cimatti, scrive pieno, rotondo, col cuore.
Intanto, però, la realtà dei luoghi è quella spietata di sempre e il cuore si stringe quando Toschi sperimenta la trascuratezza con cui i dirigenti delle ferrovie portano avanti il progetto, incuranti dell’ambiente e delle persone. Un’esplosione per sbancare un rilievo provoca la caduta dei detriti dalla parte opposta a quella prevista. Travolgono una casa, Restano sepolti in dodici, una famiglia intera. Nessuno li ha avvertiti. I soldati scavano a mani nude, perché chi impugna una vanga la userebbe contro i funzionari indifferenti all’orrore generato.
Quell’impresa per Anselmo Toschi è una doccia scozzese, dolori e gioie. Che festa per il caporale romagnolo quando arriva il primo treno da Roma, il 29 aprile. È la modernità che irrompe nell’Appennino impenetrabile, sconfitto dall’uomo. Ma dura poco, i soldati sono richiamati ad Ancona e da qui inviati ad affrontare i guerriglieri di Olmo. Ma chi è davvero Carbonari e perché l’esercito congeda all’improvviso il reparto?
C’è tanto ne “L’uomo di Elcito”, un romanzo di storia, di briganti, di emigranti, di miseria, di pellagra (una malattia da denutrizione che provocava lesioni cutanee e portava via la pelle d’addosso). Come sono tenere e belle le donne in queste pagine, ma quanta povertà e miseria umana.
In divisa e non, Anselmo resta un uomo sensibile, leale, ligio ai valori in cui crede. Sono diversi da quelli delle autorità, dei dirigenti, degli speculatori, che decidono per tutti. Lui è con tutti, con la gente. È con gli uomini come Olmo Carbonari, perchè in questo romanzo ci sono tante verità, non una sola.
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