

La Babilonese
- Autore: Antonella Cilento
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2024
Tra gli ottanta, troppi, nomi di scrittori, molti esordienti, che vengono proposti per il Premio Strega 2025, spicca quello di Antonella Cilento, che fu già candidata al prestigioso riconoscimento nel 2014 con il romanzo Lisario o il piacere infinito delle donne. Ho apprezzato allora la scrittura di questa autrice napoletana, che si conferma ora, con La Babilonese (Bompiani, 2024), una narratrice colta, potente, capace di dominare la lingua, quella italiana letteraria e quella napoletana, declinata nei suoi aspetti popolareschi ma non per questo meno efficaci.
Il romanzo spazia nei luoghi e nei tempi, attraversando i secoli e i continenti, storia e archeologia, pittura e archivistica, costume e gastronomia, per non citare che i temi più presenti nella lunga e complessa narrazione che la scrittrice ci presenta, ricca di eventi, di personaggi storici e di fantasia, alternando registri linguistici alti e popolareschi che contribuiscono alla potenza dell’affresco colorato, feroce, fedele nel riproporre fatti e misfatti della storia nei secoli trascorsi.
Si comincia a Ninive, nel 653 a.C, durante il regno di Assurbanipal, il sanguinario sovrano che verrà conosciuto come Sardanapalo. La sua giovane moglie Libbali, madre delle quattro figlie del re, si innamora del mago ebreo Avhiram che diviene il suo amante; la tresca viene scoperta, il re fa uccidere tutti, Libbali riesce a sfuggire a morte certa con l’aiuto della piccola Yehoudith, la figlia del mago ebreo, una fanciulla bionda vestita di bianco che tiene in mano una lucerna accesa la quale resterà sempre vicina alla donna, che identificherà in sua madre. Ci spostiamo nel 1848 a Londra e incontriamo l’archeologo orientalista Henry Layard, alla ricerca di Ninive o Nimrud, le città assire culla della civiltà mesopotamica. Una tavoletta in caratteri cuneiformi, incorniciata d’avorio, con incisa una misteriosa divinità femminile con le zampe di uccello, accompagnata da una piccola con la lucerna in mano, diverranno la sua ossessione, la ragione di vita, la ricerca di un mistero da svelare.
Ci spostiamo poi, seguendo la traccia di Cilento, nella Napoli del vicereame spagnolo, nel 1656. Questa parte, che ha per protagonista il pittore Aniello Falcone, è ai miei occhi la più interessante e coinvolgente dell’intero romanzo; l’autrice ci mette dentro il secolo in cui a Napoli si alternano epidemie di peste, eruzioni del Vesuvio, fame e stenti, rivoluzioni e stragi, ma anche le pagine più straordinarie della storia della pittura. Da Caravaggio, che ha appena dipinto la sua opera più significativa, “Le sette opere di Misericordia”, via via si susseguono le figure di Ribera, Battistello Caracciolo, ma soprattutto, al centro della trama, la figura di Aniello, prediletto dai nobili, con il principe Spinelli di Tarsia che è il suo mecenate. Anche la musica fa la sua parte: Giuseppe Astarita , “’o Maestro che compone e canta”, è l’autore della celebre canzone O’ Guarracino,
che jéva pe mare, le venne voglia de se nzorare, se facette nu bello vestito de scarde de spine pulito pulito.
testo barocco reso celebre ai nostri tempi dalla genialità di Roberto Murolo. E ancora medici nell’ospedale degli Incurabili, che tentano di salvare i malati di colera e peste, Severino e Lucantonio Porzio, e poi viceré e viceregine, prostitute e poeti, Basile e Marino, che popolano questa capitale bella e dannata.
Ma la storia non si ferma, e la dannazione della bella Libbali ricompare nella Napoli ottocentesca. Filomena Argento, una zitella che vive negli ultimi anni dell’Ottocento, ci immette in una sorta di feuilleton, quelli raccontati nei tantissimi romanzi di Francesco Mastriani, che compare anche lui come personaggio di una tragicommedia dai colori foschi. In effetti Madame Ballu, vestita di velluto blu lapislazzulo, accompagnata da un’adolescente con un lucerna in mano, fa la sua comparsa a turbare la vita della donna che per caso ha ereditato un documento smarrito nel tempo, che ci riporta a Layard, a Ninive.
Raccontare tutto quanto contiene questa scatola magica che è il romanzo di Antonella Cilento è troppo difficile, basta seguire il filo rosso che ci porta fino ai nostro giorni a incontrare Alice, un’insegnante che si imbatte nella moderna Elvira Giuditta, in un disegno sconosciuto e prezioso di Aniello Falcone, piombando in quella trama misteriosa che, partendo dai secoli sepolti dell’archeologia. ci accompagna fino al secolo di internet.
Capodimonte, Posillipo, la Sellaria, Toledo, Spaccanapoli, i vicoli, gli odori del cibo, i santi, le superstizioni, la Vicaria, l’Arte della Seta, il ragù, i ziti con la genovese, la passione, il sesso violento, la morte... Una lingua che parla anche a chi la capisce poco, un romanzo molto pieno, molto colto, molto affascinante.

La babilonese
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