La bellezza quotidiana di Ilaria Occhini

“Una vita senza trucco” è il sottotitolo del volume “La bellezza quotidiana” (Rizzoli, 2016), intenso memoir corredato da fotografie della bellissima e bravissima attrice di televisione, cinema e teatro, Ilaria Occhini, sposata da oltre cinquant’anni con lo scrittore Raffaele La Capria.

“Forse chi la incontra non la vede neanche bella. Per me, invece, più bella d’Ilaria non c’è”.

È il tenero e affettuoso ritratto che l’orgoglioso nonno, lo scrittore e poeta Giovanni Papini (1881-1956), fece alla sua amata nipotina Ilaria, nel racconto breve “La mia Ilaria”. La bambina aveva un bellissimo rapporto con il suo avo

“uno stare insieme quasi da innamorati”.

La piccina appena poteva, correva dai nonni che vivevano in un villino non lontano dalla sua abitazione. “Spesso trovavo il suo salotto pieno di gente”, i frequentatori erano tutti gli intellettuali più in vista di Firenze: Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini, Giovanni Amendola e Mario Luzi. Ilaria assisteva alle riunioni che si svolgevano ogni domenica pomeriggio, accovacciata sulle gambe del nonno che “era un uomo spiritosissimo”. Il padre della bambina, lo scrittore Barna Occhini, noto critico d’arte, soleva portare nei suoi viaggi la primogenita a visitare chiese e musei, alla scoperta di quadri e affreschi.

“Mi abituai a guardare con occhio attento, seguendo i suoi commenti”

imparando a riconoscere la bellezza e sempre al padre deve la scoperta dei grandi classici russi, cosa che le fece aumentare l’amore per il teatro, iniziato in tenerissima età. Nel 1953 la quasi ventenne Ilaria aveva fatto il suo esordio cinematografico nel film “Terza liceo”, diretta da Luciano Emmer. Nonno Giovanni, assicurandole un contributo di duecentocinquanta lire al mese, aveva consentito alla nipote di trasferirsi a Roma per studiare all’Accademia d’Arte Drammatica. Suoi compagni di corso erano Luca Ronconi, Gian Maria Volontè e Mario Missiroli. Fondamentale l’incontro con Orazio Costa “un grande maestro”, dal quale la studentessa aveva appreso “cos’è il teatro” e “il mestiere dell’attore”. Nel 1957 la bella Ilaria veniva scelta dal regista Anton Giulio Majano “incuteva fiducia” per interpretare la timida ma risoluta “Jane Eyre”, personaggio intenso dalla grande forza interiore, che avrebbe donato celebrità alla giovane interprete, mettendo le ali alla sua carriera.
Lo scrittore e intellettuale Raffaele La Capria aveva conosciuto Ilaria a Napoli e ne era rimasto folgorato. Sensazione corrisposta dalla giovane donna

“il dado era tratto, il mio cuore me lo disse”.

La loro relazione stava iniziando baciata dal caldo sole di Positano. La narrazione continua con le indimenticabili estati trascorse nella loro villa di Capri che “cambiò le nostre vite” e la nascita della figlia Alessandra.

“Ho raccontato la vita che si vede”

confessa Ilaria rivelando che Raffaele le dice, a ragione, che è ancora “bellina”.

Ilaria Occhini con una prosa lieve e schietta rievoca la sua vita personale e professionale, entrambe piene e ricche di soddisfazioni. Le pagine scorrono piacevolmente in un percorso esistenziale che oscilla tra l’impegno nel migliore teatro degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, con registi quali Luchino Visconti e Luca Ronconi, senza tralasciare “il romanzo sceneggiato” di una TV di Stato che sapeva educare e divulgare, e il grande e duraturo amore verso il suo compagno di vita. La Occhini con candore parla della sua bellezza “con tanta disinvoltura” come fosse un accessorio, con il suo incantevole viso e la sua naturale distinzione, rimane un’icona di un tempo che non c’è più.

“Se lì, nella campagna ai piedi del Solaro tu avessi vissuto un autunno ancora luminoso della vita e avessi avvertito più intenso l’amore per la tua bella giornata che stava per finire, potresti capire cosa significò lasciare per sempre la casa caprese” (Raffaele La Capria, “L’estro quotidiano”).