La conservazione metodica del dolore
- Autore: Ivano Porpora
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2012
Bisogna arrivare alla pagina 265 del romanzo di esordio di Ivano Porpora per leggere e capire il titolo e soprattutto l’intento di questo libro lungo, complesso, intricato, ricco di immagini, di sogni, di malattia, di dolore, di rimpianto.
Una storia che non finisce alla conclusione del libro, ma lascia il lettore ad interrogarsi sulla sorte psicologica ed esistenziale del fotografo Benito, narratore fluviale in prima persona della propria infanzia, delle proprie numerose donne, del rapporto difficile con il padre, con i compagni di scuola e ora di lavoro, con la moglie Angela e la piccola Rachele, sua figlia. Benito è epilettico e le sue crisi ricorrenti mettono a dura prova la tenuta del suo carattere, in bilico tra attivismo e pigrizia, fra genialità e fallimento. Benito mescola con una lingua innovativa, sperimentale, piena di forme dialettali, di citazioni di canzoni, di filastrocche popolari, di espressioni del parlato quotidiano, di poesie in francese, di brani di canzoni inglesi, di citazioni di film, di gruppi musicali, un vissuto che lui attraversa con una memoria interrotta: infatti una delle sue crisi epilettiche gli ha cancellato un pezzo di memoria di circa dieci anni, anni che sono un buco nero, dei quali non sa proprio nulla. Ed ecco allora che le fotografie, di cui ha pieni i cassetti, catalogate in ordine alfabetico, lo aiutano in certi momenti a ricostruire i pezzi mancanti dei suoi ricordi svaniti… In realtà Benito è spinto da Angela e dal suo assistente/amico Mario a mettere insieme, dando loro un titolo e un filo conduttore, le foto che gli sono state richieste per una mostra personale a Milano, la sua prima, quella che gli consentirà di uscire dall’anonimato e di diventare un fotografo noto, non più un artista costretto a fotografare vasetti di yogurt per sopravvivere. Il titolo, scelto da Angela, sarà “Omissis”.
I tempi della narrazione sono ondivaghi, il presente si mescola al passato, i personaggi che gli hanno segnato l’infanzia rivivono per magia nella sua memoria: l’infanzia a Viadana, nella campagna Mantovana, l’unico scapaccione di sua madre, il disprezzo per il padre, don Binda, il prete dell’oratorio, Al Nagar, Sulfanel, l’uomo del fiume che avrà due funerali….E poi le ragazze, tante, tutte belle, tutte diverse, con le quali ha avuto un rapporto importante: di tutte ha le foto, anche della prima, Margherita, quella della sua iniziazione sessuale, morta in un tragico incidente stradale.
Leggere il romanzo di Porpora ci fa ricordare il Fellini in bianco e nero di Otto e mezzo, con i suoi personaggi strampalati: il bianco e il nero, infatti, fanno da base allo spartito che lo scrittore va srotolando. Una boccia di inchiostro di china nero è la metafora della sua memoria cancellata, i suoi continui flash in bianco e nero lo portano a vedere la vita attraverso gli scatti della macchina fotografica; un grasso ragazzo un po’ ritardato gira in continuazione su uno scooter, senza una direzione, è la metafora con la quale Benito si descrive:
“Il mio pensiero è uno scooter portato in giro da un ragazzo grasso, lento nel comprendonio ma non nel correre per la città. Ho cominciato a fotografare per questo; per questo lavorio ininterrotto, simile al continuo mordicchiare e smangiare e sminuzzare di un sorcio”.
I topi tornano anche nella fiaba del pifferaio magico, che Benito racconta alla piccola Rachele, spaventandola a morte, ma sicuro che finalmente la paura che anche lei erediti il suo male è finalmente dissolta, annegata come i topi neri della favola.
Nelle ultime pagine del romanzo le fotografie si ricompongono per raccontare il senso di “uno strano passato”. Il titolo Omissis avrebbe potuto essere “Ho amato ogni sasso tirato”, conclude Benito, i sassi tirati a tutti i personaggi della sua vita, amati e odiati, ma alla fine tornati vividi nella
memoria.
“Ci vuole tanto a costruire, ma poco a dimenticare. Lo dice la Storia”
È forse questa la frase che segna il significato più riposto di questo romanzo originale, molto ben costruito, pieno di dolore raccontato con grande dignità.
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