La famiglia Benade
- Autore: Marlene Van Niekerk
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2017
Sudafrica, 1994, alla periferia di Johannesburg in un quartiere operario, il Triomf, dove vivono solo bianchi indigeni, abita “La famiglia Benade”: Pop, Mol, Lambert e Treppiè. La famiglia Benade è povera, e ha poche speranze di riscatto. Pop il capofamiglia è un ottantenne che non si alza più dalla poltrona e trascorre l’itera giornata guardando il televisore; Mol, sua moglie, invece, fumando e giocherellando con l’unico dente rimastole; Lambert, il figlio, soffre di epilessia ed è pericoloso per sé stesso e per gli altri; Treppie, il fratello di Mollie, non perde occasione per dimostrare la sua rabbia, insultando e minacciando la sorella e il nipote.
Siamo al tempo delle elezioni in Sud Africa. Elezioni che segnano l’alba dell’era post-apartheid. In casa Benade si festeggia il quarantesimo compleanno di Lambert. Pop e Treppiè hanno promesso di regalargli una donna per la notte (hanno messo da parte una somma risparmiando tutto l’anno), e sperano anche di convincerla a rimanere con lui - o fuggire dal Paese con loro. Nulla di questo accadrà: l’esistenza di Pop, Mol, Lambert e Treppiè, serrata in una morsa di fatalismo e immobilismo, continuerà in quella casa/prigione sempre uguale, con una rassegnazione e un abbrutimento morale che si riflette in ogni loro atteggiamento, parola, decadimento morale di cui il simbolo principale è la loro casa sporca, fatiscente, con il tetto di lamiere e le crepe nei muri.
“La famiglia Benade” di Marlene Van Niekerk (Neri Pozza, 2017) è un romanzo verità, forte e triste, che racconta in maniera impeccabile, sarcastica, demistificatoria, gli effetti dell’apartheid sugli afrikaner, la popolazione di boeri bianchi che colonizzarono il Sudafrica al seguito della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Acclamato come uno dei migliori libri mai scritti in afrikaans il romanzo di Van Niekerk è un ritratto di un quartiere della capitale africana, il Triomf, che doveva diventare una zona residenziale piena di belle casette per bianchi e, di fatto, è diventata un sobborgo di case fatiscenti, di strade popolate da cani randagi, di persone che hanno perso ogni speranza. Hanno creduto in un cambiamento che non è avvenuto né con i picchiatori razzisti del National Party (“la nostra minoranza, la nostra lingua e cultura, e la nostra fede cristiana”), né con i testimoni di Geova che dovevano salvarli, né con le elezioni democratiche di Nelson Mandela. L’unico modo che hanno per sopravvivere è ripetersi che hanno una famiglia, per quanto sgangherata sia, e un tetto di lamiera sulla testa.
“La famiglia Benade” è metafora di tutte le famiglie di boeri bianchi appartenenti al sotto proletariato; è la testimonianza di un Paese in lotta che si affaccia alla democrazia con molte incongruenze; è uno spaccato di vite vissute in estrema povertà e disperazione. Anche se alla fine i Benade riusciranno a ridipingere la loro casa, pagandone le rate per il resto della loro vita, le crepe rimarranno come segni indelebili non solo sui muri ma soprattutto nei loro cuori.
“Troppo pochi, persino per loro stessi (...) Moll e Pop e Treppie e Lambert non si bastano neanche lontanamente”
eppure vivono insieme,si stringono l’uno all’altre, perché la famiglia è la sola
“prospettiva necessaria a vivere e a sopravvivere (...) l’unica cosa che conta”.
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