La grande guerra attraverso le istantanee del tenente Gustavo Weiss
- Autore: Bruno Giannoni (a cura di)
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
Non aveva un cognome “dei nostri” il tenente d’artiglieria Gustavo Weiss, era addirittura di origini austriache, ma cento anni fa indossava con onore la nostra divisa grigioverde, con due stellette sulle maniche e le mostrine nere filettate di giallo. Nella prima guerra mondiale ha servito la patria italiana nella sezione cartografica del XII Corpo d’Armata, sul fronte carnico. Era un capace fotografo militare e oltre un centinaio dei suoi scatti si possono osservare, insieme a riprese aeree delle linee, in un volume di formato più largo che alto, 17 x 24 cm, pubblicato dalla casa editrice indipendente lucchese Tralerighe Libri di Andrea Giannasi, col titolo La grande guerra attraverso le istantanee del tenente Gustavo Weiss (200 pagine), a cura di Bruno Giannoni.
Il 2015, anno di edizione, lascia intendere la volontà di proporre la raccolta fotografica nel centenario dell’inizio delle ostilità, come viene confermato in una significativa e brevissima postfazione:
“Finito di stampare nel mese di febbraio dell’anno 2015, a tre mesi dal maggio radioso nel quale un secolo fa i nostri andarono incontro al conflitto cantando, come se fosse una scampagnata, un gioco, un divertimento. Si andava a conquistare quella parte di Patria ancora in mano al nemico austriaco, anzi “il nemico”, che dalle guerre risorgimentali correva contro la nostra storia patria. Nulla imparammo però tra quelle trincee”.
Da quel nemico, il tenente venticinquenne aveva motivo di guardarsi più di altri, perché il cognome avrebbe tradito i suoi ascendenti asburgici: in caso di cattura, la stessa vita e comunque la prigionia non sarebbero state affatto scontate.
Tanto il padre Joseph che la madre erano nati sudditi di Francesco Giuseppe, figli di due sottufficiali boemi dell’Esercito imperiale. Papà Weiss era stato nella Guardia dell’arciduca Massimiliano D’Asburgo, messo nel 1864 sul trono del Messico da Napoleone III, che pretendeva di gestire a distanza l’assetto del Centro America. Sconfitto però dai rivoltosi repubblicani, l’austriaco era stato fucilato nel 1867 a Santiago de Querétaro.
Nonno Weiss considerava una vergogna per il figlio l’essere sopravvissuto al tragico destino del nipote dell’imperatore d’Austria. Asburgico tutto d’un pezzo, lo disconobbe, costringendolo all’esilio senza mezzi. Ma Joseph aveva grandi qualità e fece fortuna in Italia, dove sposò una ragazza di Castellammare di Stabia ed ebbe tre figli, tra i quali Gustavo, nel 1891.
Allo scoppio della Grande Guerra, il giovane Weiss di natali italiani era impiegato nella Banca d’Italia a Venezia. Pur coniugato da poco, decise di arruolarsi volontario, sebbene potesse far pesare l’essere stato riformato per motivi di salute alla visita di leva nel 1912. Dopo un corso accelerato di tre mesi nell’Accademia dell’Esercito a Modena, giurò da ufficiale di complemento d’artiglieria e venne assegnato al settore carnico, centrale tra quello alpino-dolomitico e il fronte isontino-carsico-triestino.
Promosso in poco tempo tenente, svolse i suoi compiti in Carnia fino alla ritirata di Caporetto e dopo venne schierato col reparto sull’Altopiano vicentino. A fine ostilità riprese il posto nella Banca d’Italia, con diversi trasferimenti. L’ultima sede lo vide a Livorno, dove morì nel 1956.
Da cartografo militare, provvedeva a riconoscere le linee avversarie, per tenere aggiornate le cartine a disposizione dei Comandi locali di artiglieria e fanteria. Svolgeva il servizio di osservazione diretta da posizioni elevate ed eseguiva rilevazioni fotografiche. Scatto dopo scatto, aveva raccolto materiale ingente: usava una macchina fotografica che non imprimeva immagini su pellicola ma sull’emulsione fotosensibile di sali d’argento spalmata su lastre di vetro 42x105 mm, spesse 1 millimetro e utili ciascuna per due pose.
Riunite in un album e conservate dalla famiglia, le immagini sono state fornite al curatore del volume dalla nipote livornese Elisabetta Weiss e vengono ora custodite presso il Museo della Grande Guerra di Timau. Gli scatti riprendono soldati in marcia e in posa (ci sono anche foto ricordo), autoveicoli, pezzi di artiglieria, posti di guardia in trincea, prigionieri austriaci, paesaggi, laghi montagne. In aggiunta, alcune foto aeree riprese dai ricognitori.
Non si vedono esplosioni o distruzioni, nessun segno di agitazione nei soggetti inquadrati. Sembrano tutti in attesa, il tempo è sospeso, non c’è dramma nemmeno nell’ordinato e malinconico cimitero di guerra. L’obiettivo riprende volti, espressioni e fisionomie autentiche. Le immagini dei luoghi non hanno tuttavia alcun intento paesaggistico, perché a un’attenta osservazione non sfuggono i particolari che il tenente aveva voluto fissare: muretti di protezione, trinceramenti, filo spinato, l’andamento delle linee nemiche sui rilievi.
Alla base della pubblicazione si rende chiara la scelta di riprodurre le immagini senza correggerle in alcun modo, per rispettare lo scatto originale. Non sono stati eliminati difetti, sbavature, macchie, bordi neri. Talvolta la centratura è imperfetta, gli anni hanno poi aggiunto ombreggiature e opacizzazioni, lasciate ugualmente intatte nella riproduzione.
Ricevuto il vecchio album, Giannoni si è impegnato a individuare i soggetti inquadrati e a catalogare le foto, che pur collocabili nel periodo 1916-1917 prima di Caporetto, non riportavano indicazioni sul retro.
Una curiosità: nella presentazione del volume presso il Circolo Ufficiali della Marina a Livorno, Bruno e la signora Elisabetta indossavano l’uniforme storica da ufficiale di cavalleria e crocerossina del 1917.
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