La linea del fuoco. L’Argentina da Peron alla lotta armata
- Autore: Manolo Morlacchi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2019
Vai a caccia di verifiche dei contenuti di storia proposti in un saggio sull’Argentina di Peron e scopri che un soggetto interessante, oltre al libro, è l’autore. Nel 2019, il cinquantenne Manolo Morlacchi ha dato alle stampe, per la collana Passato prossimo delle Edizioni Mimesis, il volume La linea del fuoco. L’Argentina da Perón alla lotta armata (232 pagine), un saggio sulle drammatiche vicende storico-politiche nel grande Paese sudamericano, dalla metà del Novecento all’ultimo decennio del secolo scorso.
L’interesse per quegli eventi è certamente giustificato. In Argentina si assistette all’affermazione di un movimento allo stesso tempo populista e reazionario, ispirato dal generale Juan Peron, presidente della Repubblica dal 1946 al 1955, rovesciato da un golpe militare e rieletto nel 1973, ma deceduto l’anno successivo, sostituito dalla terza moglie. A sua volta, Isabelita venne destituita dal colpo di stato dei militari che dettero vita alla Giunta Videla e a una crudele campagna di repressione dell’opposizione di sinistra, arrestando in segreto, torturando e liquidando spietatamente migliaia di giovani sospettati.
Si contano più di 40mila desaparecidos dal 1976 al 1983. Agli occhi della dittatura militare, lo sterminio senza freni inibitori era giustificato dall’esigenza di sconfiggere il terrorismo che aveva insanguinato l’Argentina. Gruppi di guerriglia come i Montoneros andavano conducendo una vistosa lotta armata contro il potere costituito e il partito rivoluzionario marxista-leninista contava un gruppo in armi, un vero esercito clandestino, l’ERP, con migliaia di militanti.
Le organizzazioni eversive vennero sradicate dai militari tra il 1976 e il 1979.
Definito il quadro storico sintetico, ecco l’autore: Manolo Morlacchi, milanese del 1970, laureato in storia contemporanea, scrive di “rivoluzioni” e lavora nel campo editoriale. È l’amministratore unico di Meltemi Editore, partner del Gruppo Mimesis.
Figlio di Pietro Morlacchi, ch’è stato tra i capi storici delle Brigate Rosse con Renato Curcio e Mara Cagol, è uscito da qualche anno definitivamente assolto da una vicenda giudiziaria che lo accusava di contiguità col nuovo partito armato. Nel nostro Stato, nel quale non si può essere considerati colpevoli se non si è commesso volontariamente qualcosa vietato dalla legge, Morlacchi è stato arrestato e privato della libertà per essere figlio di un brigatista e conoscente di terroristi, quelli sì responsabili conclamati di delitti.
L’accenno al passato recente dell’autore è indispensabile per farsi un’idea delle ragioni dell’interesse di un ricercatore verso l’area della resistenza armata e dei movimenti rivoluzionari. In buona parte del suo libro, che si avvale della prefazione di Valerio Evangelisti e dell’introduzione di Julio Santucho (fratello di Mario), si sofferma con interviste e immagini sulla vita e l’azione del fondatore dell’ERP, Mario Roberto Santucho, ucciso in uno scontro a fuoco nel 1976.
Manolo sostiene che la storia argentina è legata a filo doppio a quella italiana. Il patrimonio di conoscenze ed esperienze politiche portato dai nostri migranti in Sudamerica ha contribuito allo sviluppo economico dell’Argentina e alla nascita di una spiccata coscienza sindacale. In una specie di laboratorio sociale, le lotte operaie urbane si legarono a quelle dei campesinos nelle campagne e degli “indigenisti”, che rivendicavano il recupero della loro identità. Anime diverse si
“condensarono intorno al progetto rivoluzionario che ha portato le classi popolari vicine alla vittoria rivoluzionaria”.
Si conosce poco della lotta armata in Argentina e tanto, invece, dell’avvento al potere della giunta militare nel 1976. Sappiamo dei desaparecidos, delle madri di Plaza de Mayo, dei centri di tortura e degli agghiaccianti voli della morte. Il massacro feroce di decine di migliaia di dissidenti politici, come in Brasile, Cile, Uruguay, Bolivia, rientrava in un progetto, il Piano Condor, voluto e sostenuto dagli Stati Uniti per distruggere le guerriglie guevariste, che sull’esempio di Cuba minavano le fragili democrazie sudamericane.
Le lotte sociali in Argentina andavano sconfitte a qualunque costo, appoggiate com’erano da masse imponenti di lavoratori e studenti e rese ancora più insidiose dalla minaccia di migliaia di guerriglieri addestrati. La repressione colpì settori sociali molto ampi: dagli studenti ai sindacalisti, dagli scrittori e intellettuali ai giornalisti non allineati. Ma il cuore dell’azione golpista fu lo sterminio della guerriglia, che aveva scelto come obiettivo non tanto
“la difesa dei diritti umani, ma la lotta rivoluzionaria per la conquista di una società socialista”.
Se non si racconta la vicenda dell’ERP e di quel decennio di lotte iniziato nei primi anni ’60, non si può comprendere la dittatura militare. Per capire il Piano Condor, il golpe del 1976, questa storia è imprescindibile. Eluderla significa limitarsi allo sdegno umano, che però spiega poco di quegli anni. Morlacchi è convinto che per ricordare morti e desaparecidos occorre descriverli per ciò che erano: militanti rivoluzionari che praticavano la lotta armata contro polizia, esercito e oligarchie economiche.
"L’unica memoria che accetterebbero, ne sono certo, è quella che mette al centro la loro dimensione rivoluzionaria".
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