La luce giusta cade di rado
- Autore: Caterina Saracino
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
Caterina Saracino, autrice di questo profondo romanzo intitolato "La luce giusta cade di rado" (Eiffel, 2014), ci trascina con la propria scrittura, chiara e pulita, priva di ridondanze e di errori, nella storia di due famiglie difficili da dimenticare. La prima parola è quella di Miro, giovane ventiseienne, che attraverso la fitta rete dei ricordi che vanno dall’infanzia all’adolescenza, descrive con un linguaggio carico di metafore e di poesia, come vede la famiglia Molinari, ossia i vicini di casa con cui ha condiviso gran parte della propria esistenza. E’ immediato il riconoscimento da parte di chi legge di uno stile di scrittura particolare, in cui l’autrice lascia molto spazio all’arte nelle sue infinite manifestazioni. Sono frequenti i paragoni con la pittura e la scultura evidenziando quindi, l’importanza dei colori, delle forme e soprattutto della luce, nelle immagini che vengono raccontate, in modo che queste non appaiano soltanto cariche delle loro fisicità e realtà statica, ma diventino un mezzo attraverso cui dire sempre qualcosa in più. Un qualcosa che travalichi il senso comune delle esperienze e la visione esclusivamente materiale delle cose, rompendo quella plasticità molto spesso priva di emozione, per cogliere invece l’aura di superiorità, di misticismo artistico, in modo da rendere manifesto un senso latente che possa spiegare molto più di qualsiasi apparenza.
Centro di tutto è la famiglia Molinari con i suoi quattro componenti: Thomas, amico di Miro, Asia ed Emma, sorelle gemelle e la madre Veronica verso cui Miro prova un amore ingenuamente adolescenziale. Miro ha grosse difficoltà a relazionarsi con gli altri a causa della sua timidezza ed è per questo che viene continuamente preso di mira dagli altri compagni che lo trattano in malo modo. Lo stesso fanno con Thomas che considerano una femminuccia ed è così che i due amici legano per cercare di smussare insieme le difficoltà con l’esterno. Dai racconti della sua adolescenza scopriamo che ad attrarre l’attenzione e la curiosità di Miro sono soprattutto Asia ed Emma, due gemelle che hanno caratteri completamente diversi. Una è mascolina ed aggressiva, l’altra è autistica.
Asia appare sin da subito forte e protettiva mentre Emma è come “Un nastro ancora da incidere, che poteva essere impressionato da qualunque cosa oppure conservare in eterno il suono del silenzio.”
Suggestiva l’immagine di questa bambina persa in un mondo tutto suo, così in netto contrasto con la frivolezza e l’esasperazione che la circonda. Emma sembra dormire anche quando è sveglia, distaccata come se fosse eternamente annoiata, impossibile da raggiungere in quella dimensione così terribilmente appartata e solitaria.
Già dalle prime pagine l’autrice non si esime dal rappresentare due tematiche molto importanti come il bullismo e l’autismo. Con delicatezza e sottigliezza, cerca di raccontare questi mondi così attuali senza violentarli con gli spigoli delle parole, senza giudicarli, ma lasciandoli scorrere semplicemente davanti a noi, come le immagini ininterrotte di un film che non dovrebbe mai smettere di essere proiettato.
L’amicizia tra Miro e Thomas si spezzerà a causa di uno scherzo di cattivo gusto da parte dei compagni bulletti che li hanno presi di mira sfruttando il loro legame e caricandolo di allusioni omosessuali. In fondo questo non è che l’ennesimo esempio di come la famiglia del ragazzo sia presa di mira da tutti. Indicative le parole dello spavaldo di turno, ai danni di Asia, durante una zuffa:
“Tu sei un maschio, tuo fratello è una femmina, tua sorella è scema e tua madre è esaurita.”
Dopo diversi anni, quando ormai sono cresciuti tutti, Miro e Thomas cominciano a frequentarsi nuovamente e iniziano anche i guai. Miro si rende conto che l’astio che provava per Asia quando erano bambini, dovuto alla sua aggressività e durezza, adesso è diventata una strana forma di attrazione fisica su cui però aleggia l’ombra pesante di una consapevolezza. Da piccolo aveva visto tra suo padre Lorenzo ed Asia, un abbraccio equivoco che gli aveva insinuato l’idea che tra i due ci fosse qualcosa. Un dubbio confermato dalla stessa Asia e dalla scoperta sofferta di una lettera che lei aveva scritto all’uomo, dichiarandogli il suo amore. Un amore platonico, vissuto soltanto attraverso le parole scritte ma molto passionale e vero, almeno da parte di lei. Suggestiva e allo stesso tempo inquietante la lettera che s’impone con tutta la forza sentimentale che un’anima così giovane è disposta a provare senza tirarsi indietro. Si legge l’incoscienza, la voglia impellente di rischiare, il desiderio dilaniante di abbandonarsi a quel qualcuno che si crede di amare. E quelle parole diventano come pietre impossibili da dimenticare.
“Questa è la prima e unica volta che mi permetterò di scriverle. La consideri la lettera di un notaio, di un commercialista: è solo per farle sapere quello che possiede.”
Parole incisive che lottano contro il tempo e lo soffocano e che promettono, senza saperlo, di tornare inesorabilmente a riscattare il prezzo di un’infinita solitudine.
L’autrice riesce a dispiegare con naturalezza le vele dei rapporti umani, sia quando essi attraversano un mare calmo che riflette i legami tenuti in perfetto equilibrio, sia quando le onde s’increspano ed è davvero difficile per i protagonisti restare a galla senza affogare. L’umanità rappresentata è così semplice, così nostra, tanto da spingerci a scoprire per cogliere nuove sfumature che riguardano anche noi stessi.
Caterina Saracino riesce con grazia e dolcezza a raccontare anche i sentimenti più intimi, senza svilirli, con un tocco leggero, mai invadente, proprio come una carezza delicata che non fa paura perché scava, ma accompagna l’anima a dischiudersi per condividere i propri timori.
L’arte ritorna come un ritornello ricorrente in una melodia piacevolmente orecchiabile. Thomas ha la passione per la fotografia mentre Asia disegna illustrazioni per bambini ma sono le riflessioni di Miro sul concetto di bellezza che ancora una volta scatenano importanti riflessioni sulla vita e sulla dimensione artistica. Per Miro la faccia di una donna è la parte più importante ed è quella che determina il suo innamoramento. “Faccia si chiama faccia perché la facciamo con il nostro vissuto” ed è in esso che si raccoglie tutta la personalità di una persona, la sua storia. Il concetto di bellezza quindi è collegato a qualità che vanno oltre il concetto classico e che riguardano l’interiorità di una persona.
Il linguaggio metaforico attraverso cui i personaggi si esprimono, impreziosisce qualsiasi immagine, anche quella più banale, trasfigurandola, divinizzandola quasi, andando oltre la mera fisicità.
Molto forte durante tutto il romanzo è il contrasto tra l’irruente Asia e la silenziosa Emma, una indurita dalla vita che usa l’attacco per non essere colpita e l’altra fragile e chiusa in se stessa. L’introspezione psicologia raggiunge livelli molto alti esaltata anche dalla consapevolezza eccezionalmente profonda che hanno i personaggi della loro interiorità. Miro sa bene che è attratto così tanto da Asia, il cui sguardo è segnato da due occhi di colore diverso, perché ella agisce come un richiamo per la sua parte più oscura ed irrazionale. La ragazza ha un occhio azzurro e l’altro castano quasi a voler sottolineare ancora una volta il rapporto tra luce e buio, tra purezza e oscurità.
Thomas invece, è quello più genuino, colui su cui puoi contare perché ti è amico per davvero dall’inizio alla fine. Leggere di lui mi ha dato la sensazione di tranquillità, di fiducia, è stato come rilassarsi sapendo di stare con qualcuno che ti vuole bene. Al contrario di Asia invece. Quando c’è lei nei paraggi, hai la sensazione che stia sempre sul punto di scoppiare una tempesta.
Poi all’improvviso nella vita dei protagonisti irrompe la televisione, la madre di molte anime che nella realtà non hanno trovato posto e conforto e sono cresciuti, come Thomas, con la consapevolezza che la TV “non finisce mai”. Con un padre morto precocemente e con una madre impegnata ad accudire una sorella malata, Thomas cresce avvinghiato a quella luminosità inscatolata senza apprezzare per forza i suoi contenuti, ma semplicemente la sua presenza e la sua compagnia.
Art Marathon è il nuovo Grande Fratello, basato però sull’arte, ed è il programma al quale il ragazzo parteciperà con tutto il suo bagaglio di sogni. I concorrenti sono artisti che devono competere tra di loro mettendo in mostra le loro doti creative e cercando di superare settimana dopo settimana le malefiche nomination per arrivare alla fine. Insomma il format è identico, con l’unica differenza che Art Marathon è il riflesso chiaro di come l’arte venga commercializzata e svilita senza ritegno. Un’opera d’arte per essere realmente compresa necessita di intimità e non di spettacolarizzazione. Un’opera d’arte è l’espressione del modo di vedere e sentire dell’artista e il fruirla la mette in diretta relazione con la nostra interiorità. Arte è riconoscersi e nello stesso tempo perdersi in ciò che qualcun altro realizza, offrendoci un pezzo di sé, in cambio di un pezzo di noi stessi. Un’opera d’arte deve suscitare qualcosa e non essere l’ennesimo mezzo attraverso cui delle persone, in realtà soggetti tenuti sotto osservazione, rinchiusi in gabbie di vetro trasparente, braccati come animali e costretti a rapporti che fuori neanche si sognerebbero di avere, prostituiscono se stessi in nome di un’apparizione mediatica. La televisione non è la Madonna, non li fa i miracoli.
Sono tutte scuse e la cosa terribile è che alla gente interessa davvero poco dell’arte, ciò che da sempre stuzzica la curiosità della massa è soltanto una cosa: i segreti di ciascuno di noi. Sarà proprio Thomas con la sua onestà a mettere in luce quanto Art Marathon sia l’ennesimo esempio di frivolezza ed apparenza. Le personalità di ciascuno di noi sono date in pasto ad un pubblico il cui interesse primario è solo quello di essere intrattenuto. La Tv e il sistema che la governa, la società che la sostiene sembrano essere gli unici in grado di far diventare il nessuno di turno “un qualcuno”.
E’ davvero triste dipendere da una scatoletta luminosa per sentirci affermati nella nostra vita.
E’ avvilente capire che oggi è così, questa è la considerazione popolare dell’arte e della vita, ma l’autrice getta parecchia acqua sulla polvere e sullo sporco del falso perbenismo e della superficialità.
Sono frequenti gli esempi della mentalità più retrograda che con la sua ignoranza diventa manifestazione asfissiante di apatia e di offesa gratuita come l’idea che ha Veronica dell’omosessualità di Thomas, considerandola un “problema”, convinta che sia stata l’assenza delle sue attenzioni a farlo diventare così.
Ogni personaggio è spogliato di qualsiasi impalcatura precostruita. Essi appaiono così come sono anche a costo di risultare vigliacchi, maldestri, ingenui o aggressivi. Non hanno filtri con il lettore, perché l’autrice non li vuole, non si nasconde dietro i preconcetti del falso buonismo e dell’accettazione.
Ma non sono solo gli occhi di Miro a raccontarci questa storia, anche quelli di Asia che conquista meritatamente la scena a libro inoltrato, ed è allora che le cose davvero cambiano. Lo sguardo del ragazzo era più riflessivo, pacato, razionale, persino analitico. Lei è tutta un’altra storia. E’ lei la vera protagonista del libro, a cui anche il titolo si riferisce. Le sue iridi così contrastanti, di cui quasi nessuno si accorge a meno che non ci sia la luce giusta, ma quella cade di rado.
“Sei più forte della Natura che ti ha fatto. Neanche lei era così decisa quando ti ha messo i colori negli occhi.”
Ho amato sin da subito questo titolo, ancor prima di leggere di cosa trattasse e non mi ha tradito. Mi ha fatto venire in mente, prima ancora di sapere, qualcosa che avesse a che fare con i dissidi dell’anima, con i contrasti vissuti nel profondo e con tutta l’oscurità di cui si è capaci. Parlare di luce significa alludere a qualcosa di buono ma quando essa cade di rado, impossibilitata ad illuminare come dovrebbe, allora qualcosa non va. La funzione salvifica della luce perde di forza e la speranza fugge in un luogo che non ha nome. E ciò che resta è la malattia dell’anima aizzata da una sensibilità devastante e profonda.
Il romanzo è strutturato come un racconto nel racconto, evidenziato anche dalla presenza della Tv, che non è altro che una rappresentazione nella rappresentazione. Tra racconti, ricordi, amori e dolori, molte sono le scene che non ti aspetti, così il finale che rende la narrazione ancora più spigolosa e cruda, estremamente realistica. Un realismo che non ti scrolli di dosso dopo aver letto i pensieri di Asia e la sua consapevolezza che non ci può essere salvezza per nessuno se non uno spiraglio di luce per respirare ancora, trovandolo in quell’amore familiare che porta Thomas, ormai rinchiuso nella sua condizione esasperante, a cercare sollievo nello sguardo freddo eppure vivo e reale di Emma: “meraviglia dell’incomprensibile.”
La luce giusta cade di rado è un romanzo che spinge a riflettere su molti argomenti, così come sono, nudi e crudi, carichi di quei compromessi, di quelle menzogne, soprusi e violenze gratuite di cui il nostro mondo è talmente pieno da portarci anche noi addosso il suo tanfo nauseabondo. L’odore delle minacce e delle prevaricazioni, dei giudizi e delle offese perché nessuno si salva, nessuno è un santo. E non a caso sarà proprio Thomas, il personaggio più fragile e più vero ad uscirne completamente devastato. Non ci sorprendiamo di questo, come non ci sorprendiamo che l’umanità sia il più delle volte cieca e aberrante e quando guarda, vede solo la facciata delle cose e delle persone. Una facciata che può perdersi o che può semplicemente restare nascosta, invisibile perché la luce, quella giusta, cade maledettamente di rado. E noi, ammettiamolo pure, poche volte siamo capaci di vedere al buio. L’autrice invece, dimostra di saper fare entrambe le cose e noi rischiamo di restarne accecati da tutta questa verità e bellezza.
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