La luna nel quartiere. Gagnu malefic nella Torino anni ’60
- Autore: Marco Dardanelli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2018
Mitici anni Sessanta, irripetibili per i nati nella prima metà del decennio precedente, che ne avevano da dieci a cinque all’inizio e da venti a quindici all’alba del 1970. Sono cresciuti perciò in quei due lustri, cominciati in bianco e nero ma finiti a colori, per lo sviluppo accelerato del nostro Paese che andò trasformando totalmente la società, la comunità civile, le famiglie, il costume, i valori, il modo di vivere e di concepire la vita. Un periodo di cambiamenti velocissimi, che ricorre forse solo una volta in un secolo, anche il decennio più rilevante nei ricordi di un attuale quasi settantenne, Marco Dardanelli, che ha fatto dell’esperienza di spettatore e protagonista degli anni del Boom un romanzo autobiografico, La luna nel quartiere. Gagnu malefic nella Torino anni ’60, pubblicato dall’Editrice Tipografia Baima-Ronchetti (Castellamonte Torino, gennaio 2018, 391 pagine), nella collana “Biblioteca degli scrittori piemontesi”.
Perché Marco Dardanelli, trasferito poi nel Canavese proprio nel 1970, è nato nel 1955 in una via Gluck torinese, via Gubbio, nel quartiere Madonna di Campagna, allora fuori porta, oggi inglobato nella metropoli. È stato perciò uno di quei ragazzi e ragazze che hanno cominciato o visto cominciare il 1960 con i capelli corti (i maschi) e le calzette bianche (le femmine), ma li hanno salutati il 31 dicembre 1969 con le chiome lunghe (i maschi), le minigonne (le femmine) e i pantaloni a zampa d’elefante (i maschi e le femmine).
Avverte che se i personaggi del suo libro sono prevalentemente frutto di fantasia, alcuni risultano ispirati da persone realmente esistite e che si augura godano ancora buona salute. Le storie di guerra del padre sono vere, come alcune vicende personali e della sua famiglia. Reali i luoghi in cui ha voluto ambientare la narrazione ed anche l’atmosfera di quei tempi, che si è sforzato (con successo) di riprodurre nel racconto.
Sbarcato a Torino nel dicembre del 1955, dalla luna, secondo le informazioni strappate faticosamente alla madre (sempre meglio che trovato sotto un cavolo), confessa di non ricordare nulla dei primi anni di vita, poco rilevanti in questa storia, che inizia con l’inizio dei Sessanta.
Anni segnati da importanti eventi politici nazionali e internazionali, per lui caratterizzati invece da cinque fasi ben distinte: la finestra, il cortile, la via, il quartiere, la città, del suo io in formazione di bambino, ragazzino, pre adolescente. Il romanzo è una storia di periferia, riprende quelle fasi e i relativi passaggi da una all’altra, nell’arco del decennio, con tutto il contorno dell’epoca.
Sottolinea che nel 1963 a Torino si contavano 1milione 114mila residenti, mentre dieci anni prima la città ne aveva solo 753mila. Un incremento di quasi il 50%, per l’immigrazione dal Meridione e in misura minore dal resto dell’Italia, verso le mega fabbriche che li aspettavano. “Anni di grandi cambiamenti”, una crescita economica e sociale mai vista prima, la diffusione nelle famiglie di due oggetti base dello stile di vita successivo: automobile e televisione, il fiorire di un pensiero nuovo, giovanile e “ribelle”, che coinvolse l’arte, la letteratura, la musica, il cinema, lo spettacolo.
Scrive d’essere cresciuto tra i racconti di miseria e quelli di guerra del papà.
La gente non faceva che parlare della povertà e della semplicità delle famiglie contadine di provenienza, con tanti figli e poco per tutti. Il padre si soffermava sulle sue esperienze di partigiano comunista, precedute dalla campagna di Russia, alpino ventenne nella Cuneense, “il piccolo Dardanelli” citato da Nuto Revelli in un libro sulla ritirata nella steppa.
Racconta di sé, dei coetanei, degli adulti e intorno a lui si vede cambiare e crescere tutto, anche Torino. Dai treni sciamano uomini con la valigia di cartone, che poi richiamano mogli e figli in città.
Irresistibili certi passaggi. Il papà ospitava spesso compagni di lavoro della fonderia, immigrati dal Veneto. Uno, Corasson, era estremo in tutto, rideva o piangeva, dava di matto al primo bicchiere, prendeva a girare attorno in un metro quadro, minacciando di ammazzare Miranda, “che vergogna!”. Dai borbottii dei genitori, il bambino capta che la sorella di Corasson “fa la vita” (si prostituisce).
Perché farne una tragedia, se anche la madre, rientrando a casa dalle faccende pesanti, borbottava “faccio una vita...”? Per questo Marcolino crede di consolare l’amico del papà dicendogli:
“Anche mia mamma fa la vita”.
Il primo giorno di scuola, la maestra gli si fa incontro distribuendo sberle a destra e sinistra ai bambini nei banchi. Frequentando i compagni e soprattutto il cortile e la strada (dove si gioca separati in gang delle vie), capisce che il mondo è diviso in forti e deboli e che lui fa parte della seconda categoria. Gli tocca subire il bullismo di allora: prevaricazioni, “mazzate” dai ragazzini svegli, anche una sorta di dominazione inflitta dalle bambine appena più grandi, tutti e tutte “gagnu malefic”, cattivi ragazzi/e.
Chi c’è passato si può riconoscere in questo strepitoso viaggio in un mondo duro ma tenero (ossimoro giustificato), descritto dettagliatamente, spiritosamente, delicatamente, amorevolmente. Si potrebbe accennare ad altri spunti offerti con spontaneità: complimentarsi è poco e recensire favorevolmente non basta a rendere il giusto merito a questo affettuoso itinerario del cuore nei suoi e nostri anni Sessanta, con buona pace di chi non ricorda.
Chi non c’è stato, invece, li troverà in queste pagine e magari si farà prendere dalla curiosità di scoprire cos’è “la misteriosa polpetta” e di seguire le altre avventure a ritmo di musica pop di Marcolino, che più avanti sarà “Marcuse”, dal nome del filosofo caro a capelloni e contestatori.
La luna nel quartiere. Gagnu malefic nella Torino anni '60
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