La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno
- Autore: Franca Giansoldati
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
Per un secolo “un’impenetrabile cortina di indifferenza” ha avvolto la storia del popolo armeno, “privandolo del bisogno primario di veder riconosciuto il suo dramma, nonché il dolore che ne è scaturito”. Nell’Introduzione del libro-inchiesta, La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno (Salerno Editrice 2015, pp. 128, €12,00), l’autrice, vaticanista del quotidiano Il Messaggero, così definisce il genocidio degli armeni volutamente dimenticato, del quale quest’anno ricorre il centenario.
Cento lunghi anni di colpevoli silenzi, di verità ancora non condivise, dalla notte del 24 aprile 1915 inizio del ‘Grande Male’, “Metz Yeghern”, compiuto dall’ex Impero Ottomano. Responsabile di questo oblio che costò la morte di quasi un milione e mezzo d’innocenti, non fu soltanto la Turchia, ricordiamo che ancora oggi in questo Paese parlare del genocidio degli armeni è considerato un attentato all’unità nazionale, ma anche una parte dell’Europa che preferì guardare altrove. Uno sterminio, oggi gli otto milioni di sopravvissuti vivono sparsi in più di 85 Paesi cercando di mantenere la loro identità, che si può considerare come un capitolo ancora incompleto, “come se fosse rimasto sospeso il suo epilogo storico”.
Nella memoria collettiva della cultura europea e nei libri di storia esiste ancora un vuoto da elaborare, uno spazio mancante che questo testo cerca di colmare attraverso documenti, lettere e testimonianze, la maggior parte inedite. Le preziose carte, conservate negli archivi del Vaticano, consultate dalla giornalista hanno messo in luce il ruolo fondamentale della Santa Sede, l’unica realtà diplomatica che si adoperò per fermare il piano di sterminio da parte del governo di Costantinopoli. Fondamentale la testimonianza dei missionari cristiani impegnati in Anatolia, per avere un quadro di quello che stava accadendo. Era in atto una pianificazione per motivi etnici e religiosi, un disegno preciso da parte del governo ottomano che si svolgeva attraverso un doppio binario. Oltre al piano di deportazione, ai continui massacri, alla violenza fisica veniva sommata la violenza spirituale delle conversioni forzate.
Padre Michele Lieben, missionario austriaco che si trovava a Samsun, in Turchia, ai primi di marzo del 1916 aveva visto orrende crudeltà e descriveva a Mons. Angelo Dolci, delegato apostolico a Istanbul, le persecuzioni e le violenze di fede in atto. Chi si convertiva veniva risparmiato. Nelle lettere Padre Lieben raccontava l’organizzazione da parte del governo di colonne di deportati, affidate a bande di uomini armati che avevano il compito di uccidere tutti gli armeni che tentavano di fuggire per le montagne. Marce senza ritorno, per centinaia di chilometri, senza cibo né acqua, durante le quali i deportati morivano di stenti. Dopo essersi lasciato alle spalle il proprio passato, il popolo armeno marciava ignaro del futuro destino, verso una destinazione sconosciuta. Significativa in tal senso è la copertina del libro, che ritrae un gruppo di armeni deportati su un convoglio della ferrovia di Baghdad, fotografia in bianco e nero proveniente dall’Istorical Institute of German Bunk.
Il volume contiene una lettera autografa di Papa Francesco che ha letto in anteprima le bozze del libro giudicandolo “un lavoro di inchiesta storica, preziosa al recupero della memoria, quale forma di giustizia e via alla pacificazione”.
Franca Giansoldati, la prima giornalista di sesso femminile ad aver intervistato un pontefice, protagonista di un “selfie” con Papa Francesco scattato sull’aereo papale di ritorno dal viaggio apostolico in Israele nel 2014, pone in risalto la figura di Benedetto XV, “un gigante”, il quale con grande coraggio non esitò a parlare di “sterminio, annentamento, strage”, facendo tutto quello che era in suo potere “nel tentativo di fermare quello scempio agli occhi di Dio e dell’umanità”. Oggi come allora, Bergoglio, nel solco del suo predecessore e usando la parola “genocidio”, la stessa pronunciata da Giovanni Paolo II quando il Pontefice polacco aveva usato quella espressione “primo genocidio del XX Secolo”, nella dichiarazione comune firmata con il Patriarca Karekin II il 27 settembre 2001 a Etchmiadzin, durante la solenne Messa a San Pietro del 12 aprile scorso per il milione e mezzo di armeni, cristiani, uccisi dai turchi un secolo fa, ha parlato del silenzio complice del mondo. Genocidio causato da “indifferenza generale e collettiva”.
Se un secolo fa fu il popolo dell’Armenia, prima nazione asiatica a convertirsi al cristianesimo, a subire il martirio dello sterminio, oggi il medesimo annientamento di massa di cristiani, avviene in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. Tanto sangue innocente versato che fa comprendere come il ‘Grande Male’ sia ancora tra noi.
La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno
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