La maschera di Bertoldo. G.C. Croce e la letteratura carnevalesca
- Autore: Piero Camporesi
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Einaudi
Piero Camporesi nasce a Forlì e studia a Bologna, seguendo le lezioni di Carlo Calcaterra, da cui apprende un metodo di ricerca filologica di severo stampo positivista, che gli consente di intraprendere la carriera universitaria con studi rigorosi su Petrarca, Alfieri e un’attenzione particolare ad autori ed esperienze del Romanticismo italiano, cui dedica saggi eruditi, edizioni critiche e apprezzate curatele.
Il rigore e la severità che contraddistinguono il suo percorso di critico e accademico non gli precludono la libertà di coltivare, con la stessa acribia, argomenti extra-letterari, ad esempio la gastronomia, che lo porteranno nel 1970 a pubblicare un’edizione filologicamente accurata e splendidamente commentata del manuale di Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’arte di mangiare bene. Sembrerebbe il "tradimento", ed è invece la realizzazione di una vocazione, di un approccio alla critica e alla ricerca letteraria aperto a metodologie, strumenti, angolazioni di pensiero che ampliano o capovolgono il punto di osservazione sui fenomeni culturali, oltre la sfera angusta della "cultura alta", cogliendone con uno sguardo acuto e prensile gli aspetti in apparenza più marginali.
Coniugando con squisita originalità la categoria gramsciana di “nazionalpopolare” con gli studi di Bachtin sul “basso” e sul “corporeo” nella cultura e tradizione popolare, sensibile e ricettivo alle più eterogenee ed extra-vaganti sollecitazioni dell’intelligenza, Camporesi integra la disciplina del filologo con la creatività onnivora di un masterchef e la curiosità un po’ capricciosa di un cronista di moda e costume, che gli consente di amalgamare in modo originale ed efficace ecdotica e antropologia, erudizione storica e conversazione elegante.
Nel database poderoso della sua mente tattile si accumulano fonti e documenti, nomi e date, statistiche e aneddoti. Ne conseguono, nel corso degli anni, ricerche che hanno il gusto e il fascino avventuroso di un viaggio (di un Ulisse del pensiero) e si concretano in libri di assoluto spessore, che dilatano lo sguardo sulla civiltà (letteraria e non solo) dell’epoca pre-moderna, gettando anche una luce nuova e sorprendente su riti, liturgie e consuetudini della nostra immemore modernità. Pensiamo agli studi sulla simbologia del sangue (Il sugo della vita) e del latte (indimenticabile un saggio dedicato alle abitudini alimentari di Petrarca, nel volume Le vie del latte); alle origini e alla diffusione del cioccolato (Il brodo indiano); alle pratiche, non esclusivamente muliebri, della cosmesi in un continuo raffronto tra edonismo antico e moderno (I balsami del corpo); e ancora, i viaggi e le esperienze del medico fiorentino Leonardo Fioravanti (Camminare il mondo, edito nel 1997, anno della prematura scomparsa dello studioso) in una società cinquecentesca che vede ampliare spazi e prospettive di un mondo che d’improvviso si espande, espandendo con esso lo sguardo e la percezione umana.
In tal modo Camporesi sposta il baricentro della riflessione culturale dalle geometrie immateriali dell’intelletto alla effettività e determinatezza dell’”officina del corpo”, rinvenendo nel ventre, epicentro di umori, sensazioni e appetiti la sorgente principale di abiti mentali e consuetudini destinate a consolidarsi nel sentire comune al di là delle estetiche e poetiche imposte dall’alto dalle elite intellettuali.
Epicentro di questa riflessione critica e antropologica è la Maschera di Bertoldo (Einaudi, 1976), libro che condensa il “sugo” di tante riflessioni e ricerche condotte nel corso di un’intera esistenza di studio appassionato.
Il personaggio di Bertoldo, inventato (cioè scoperto nella realtà vivente) nel ‘600 da Giulio Cesare Croce, diventa l’emblema carnale (la maschera) di una cultura che trascende la dimensione scritta del libro per radicarsi nell’oralità dell’esperienza vissuta e nelle risorse concrete dell’astuzia, germinando da un’endemica condizione di fame e penuria, anziché nelle delibazioni intellettualistiche di un’intelligenza raffinata e astratta.
Furbo e terragno nella sua sapienza animalesca, Bertoldo ci tramanda, inascoltato, il paradigma di una cultura che rima e combacia con la Natura, sconfessata dall’artificialità moderna, eppure inestirpabile dalla storia e dalla vicenda umana, in cui l’uomo è al contempo pietra e radice, visceri e precordi, sangue e feci, petali e pelami. Un “albero capovolto”, che vive e sente nelle sua cavità profonde un’armonia discorde e precaria, ma compartecipe, con la pienezza cosmica.
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