La morte è il mio mestiere
- Autore: Robert Merle
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Il dirigente aveva un grattacapo non da poco: doveva incrementare la produzione e ottimizzare lo smaltimento dei residui della lavorazione. Uno stabilimento industriale? L’obersturmbannführer indossava la divisa delle SS, dirigeva il campo di sterminio di Auschwitz e il problema “aziendale” era quello che impensieriva i vertici delle organizzazioni naziste che sovrintendevano alla questione ebraica: eliminare più internati possibile e disfarsi efficacemente dei cadaveri. Lo scrittore francese Robert Merle lo chiama Rudolf Lang, ma è la biografia di Rudolf Franz Ferdinand Hoss quella che ha romanzato nel libro La morte è il mio mestiere, pubblicato nel 2020 dalle edizioni Res Gestae.
Per Hoss, gasare, ammazzare, bruciare oltre un milione di uomini e donne, vecchi e bambini nel più grande campo del sistema concentrazionario hitleriano era un lavoro monotono. Anche questa dichiarazione di uno dei principali responsabili dell’Olocausto, mentre cresceva l’attenzione internazionale verso l’aberrante strategia della “soluzione finale”, spinse lo scrittore transalpino (1908-2004) a sviluppare il tema dello sterminio pianificato dai nazisti, ricostruendo in forma di memorie romanzate l’attività del comandante del lager di Auschwitz-Birkenau. Merle approfondì le note dello psicologo americano chiasre G.M. Gilbert, che aveva interrogato Hoss in prigione ed ebbe ben chiare la concezione, la costruzione e la logistica del lager, sulla base delle deposizioni rese nel processo di Norimberga.
A Rudolf Hoss (1901-1947) — da non confondere con Amon Goeth del campo di Plaszow, protagonista in negativo del film Schindler’s List — si deve il beffardo motto Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi, perché convinto che la vita dietro le sbarre senza un’occupazione fosse intollerabile, la peggiore delle punizioni.
L’Hoss criminale di guerra impiccato dai polacchi vicino al crematorio di Auschwitz e Rudolf Lang, ufficiale delle SS oberato dall’esigenza di accelerare la “soluzione finale della questione ebraica”, sono quindi una persona sola, il protagonista della fiction narrativa in cui Merle ha ricostruito la banalità professionale di un dirigente dell’industria dello sterminio, preoccupato solo d’incrementare la capacità produttiva.
Un romanzo ch’è tratto dalla storia. Durante il processo a Varsavia, la corte chiese all’imputato come giudicasse il suo compito, mentre lo eseguiva. “Era un lavoro noioso”, è stata la risposta di Hoss. Qualcuno doveva farlo e lui lo svolgeva, obbedendo agli ordini con zelo e grande indifferenza. Non poteva provare commozione, nemmeno davanti ai bambini che mandava nelle camere a gas perché gli veniva ordinato di eliminarli, in quanto inabili al lavoro. Un incarico come un altro, un compito da svolgere in modo impersonale.
Come il pari grado Adolf Eichmann, pianificatore del trasporto ferroviario verso i lager, Hoss era un uomo ordinario, privo del fascino perverso che si è voluto attribuire all’Angelo della morte, Josef Mengele, il medico militare delle SS che conduceva esperimenti aberranti e dolorosi sugli ebrei di ogni età e sesso. Ma il dottor Mengele non è mai stato catturato e processato. La sua figura è stata idealizzata quasi totalmente, perché non ha mai rivelato negli interrogatori i segni della sua normalità, della “banalità del male”.
La biografia di Lang comincia all’età di 13 anni. Il padre voleva costringerlo a diventare prete per scaricare su di lui, una volta consacrato, il peso di un peccato intollerabile commesso in gioventù a Parigi. Ma Rudolf rompe con il confessore e allo scoppio della Grande Guerra fa di tutto per intrufolarsi tra le truppe, pur non potendo arruolarsi perché appena sedicenne. Viene respinto due volte, finché riesce a farsi accogliere tra i dragoni, raccomandato da un rittmeister di cavalleria che aveva accudito in un ospedale militare. Combatte sul fronte orientale, è promosso, ferito, decorato.
Alla fine del conflitto, battuto, disoccupato, isolato dalla famiglia, medita il suicidio, ma scopre che la Germania ha bisogno di gente combattiva come lui per contrastare la rivoluzione spartachista. Milita nei Freikorps della destra nazionalista e si accosta ai leader del futuro nazismo, in particolare Himmler, al quale si lega con stima incondizionata. È proprio il reichfuhrer delle SS che lo fa ammettere tra gli eletti dell’Ordine Nero e l’abnegazione, l’assoluto senso di disciplina e la mancanza di scrupoli nell’esecuzione delle disposizioni di superiori dei quali si fida totalmente gli consentono di scalare posizioni nella gerarchia di comando.
Si distingue nella soluzione di alcuni degli handicap della tecnica di sterminio: la lentezza del soffocamento da monossido di carbonio emesso da motori di camion, il numero limitato di internati così eliminabili e la saturazione rapida degli spazi per le sepolture in fosse comuni.
Dopo avere assolto al meglio al compito di organizzare metodicamente il campo di sterminio di Auschwitz, nella Polonia occupata dai tedeschi – nato intorno a una caserma preesistente – collauda e standardizza l’impiego del gas Zyklon B nelle docce e introduce la cremazione dei cadaveri nei forni. Il tutto lamentandosi dell’indolenza dei subordinati, dell’incapacità dei prigionieri dei Sonderkommando che costituivano la mano d’opera e delle pressioni dei Comandi superiori, che mettevano fretta e sollecitavano efficienza.
Durante il processo, oltre ad affermare d’essere solo un fedele esecutore di ordini, Hoss contestò d’avere concorso all’omicidio di tre milioni e mezzo di ebrei. Ne ammise soltanto due milioni e mezzo.
La morte è il mio mestiere
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