La notte della tigre di Giorgio Scerbanenco

Diciassette storie. Storie brevi, ma non per questo banali o scontate, storie che comunque lasceranno un segno dentro noi.
17 per alcune persone è un numero nefasto e, a volte, quelle persone hanno ragione. O, forse, si tratta soltanto di un caso, che noi decidiamo di vedere come verità assoluta.
Questa volta, però, il numero ha un significato benigno, perché rappresenta le vicende che ritroviamo in La notte della tigre di Giorgio Scerbanenco.

Sono storie dolci, ma anche tristi, hanno scenari così vividi da palesarsi di fronte a noi con una facilità che definire disarmante è poco. Quelle che si muovono tra le pagine sono persone e non personaggi, vicende quotidiane, che forse non avranno quel colpo di scena che tanto aneliamo, ma che ameremo proprio perché sapranno di verità. Di noi.

D’altra parte è questo il biglietto da visita di Giorgio Scerbanenco: non scrive, non si limita scrivere, ma crea dinanzi a noi ciò che la sua mente e il suo cuore gli dicono d’imprimere su carta, tanto che sarà davvero impresa ardua tornare al nostro mondo dopo aver letto le parole di questo immenso autore.

Un autore che ha ancora molto da insegnare, nonostante ci abbia lasciati decenni fa, e di cui ancora oggi sentiamo terribilmente la mancanza. Per arginarla, la cosa migliore che possiamo fare è continuare a leggere le sue opere e a ringraziarlo per ciò che ha fatto. Forse, non lo faremo mai abbastanza.