La notte di Taranto. 11 novembre 1940
- Autore: Francesco Mattesini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
“Nelle prime ore della notte sul 12, aerei nemici hanno attaccato la base navale di Taranto. La difesa contraerea e delle navi alla fonda ha reagito vigorosamente. Una sola unità colpita in modo grave. Nessuna vittima.”
Con sfacciata reticenza, il Bollettino di guerra italiano negava una delle più pesanti sconfitte della Regia Marina nella prima parte della seconda guerra mondiale. Decollati dalla portaerei Illustrious, arrivata indisturbata fino a 180 miglia dal bersaglio, 21 Swordfish avevano neutralizzato per mesi metà della forza dell’Arma Navale italiana. Nel volume La notte di Taranto. 11 novembre 1940, per il brand Soldiershop di Luca Cristini Editore (maggio 2020, 236 pagine), col ricco corredo di centinaia di eccezionali foto d’epoca in un nitido bianconero, l’esperto Francesco Mattesini ricostruisce nel dettaglio l’Operazione Judgement (giudizio universale), insieme a tutte le attività aeronavali nel Mediterraneo dal 10 giugno 1940.
Alle prime luci del giorno, apparve fin troppo evidente il bilancio dell’incursione coordinata tra la Royal Navy e la Royal Air Force. Nessun civile coinvolto nella città pugliese, perché i velivoli avevano sganciato solo siluri contro le navi alla fonda in Mar Grande, ma 58 marinai morti, 581 feriti, 6 grandi navi da guerra danneggiate. La corazzata Cavour era adagiata sul fango, semi affondata (l’immagine è ripresa sulla copertina del libro di Mattesini). Le rimodernate Caio Duilio, Littorio e l’incrociatore Trento avevano subito danni che richiesero mesi di riparazione.
L’esito mise in risalto i limiti della presuntuosa condotta militare italiana, smascherati dallo spregiudicato spirito d’iniziativa della Marina inglese. Alla combattività, all’organizzazione e alla determinazione dei britannici avevano fatto riscontro il pressapochismo e l’indecisione, l’ingenuità e la leggerezza della sorveglianza e difesa da parte italiana, non solo nella base, anche nelle acque dello Ionio.
La tragedia non si sarebbe verificata se non si fossero trattenute le grandi navi all’ancora, permettendo alla flotta nemica di scorrazzare indisturbata nel Mediterraneo centrale, fino a scegliere il momento più opportuno per colpire. Ma se la presenza in rada della quasi totalità della flotta a Taranto può essere giustificata almeno in parte secondo Mattesini, tante altre “smagliature” non lo sono certamente. Vanno dai varchi nelle ostruzioni in aria (i cavi tesi sotto aerostati frenati) attraverso i quali gli aerosiluranti britannici poterono scegliere la migliore posizione di lancio, alla mancata installazione di 2.900 metri di reti parasiluri, disponibili nei depositi ma non piazzate per mancanza di ormeggi, boe, catene, ancore e gavitelli. E poi la taratura delle reti a 10 metri di profondità, la carenza d’idrogeno che impedì la sostituzione dei palloni asportati dal vento, i collegamenti difettosi con gli aerofoni che rendevano inefficace l’impiego dei proiettori luminosi, l’intensa ma sterile reazione contraerea di circa 300 cannoni e mitragliatrici della base e di centinaia di bocche da fuoco delle unità alla fonda. Dimostrano tutte insieme l’evidente incuria, l’impreparazione, la mancanza di coordinamento, dovuta ad una condotta imprevidente, “riscontrabile a tutti i livelli, sia a Roma, che in periferia”.
In particolare, inoltre, la “battaglia di Taranto” aveva dimostrato infondata la convinzione che siluri sganciati dagli aerei non avrebbero colpito navi nelle basi, andando a impattare allo sgancio o sui fondali bassi, per gravità. Questo attrasse l’attenzione dei giapponesi, che progettavano la sorpresa di Pearl Harbour. Il micidiale attacco contro la flotta USA del Pacifico nella base delle Haway venne studiato e pianificato dalla Marina nipponica sulla base delle informazioni tecniche acquisite a Taranto, durante la visita, a maggio del 1941, di una delegazione degli addetti navali a Roma e a Londra, con a capo l’amm. Asaka Nomura.
Per parte britannica, 21 aerosiluranti e una portaerei più le unità di scorta. I nipponici impiegarono 350 cacciabombardieri e siluranti, decollati il mattino del 7 dicembre 1941 da 6 portaerei pesantemente scortate. Una netta sproporzione di forze d’attacco, eppure, considerando la media dei colpi messi a segno, l’impresa di Taranto superò di gran lunga Pearl Harbour e nella storia della guerra aeronavale resta un successo bellico straordinario.
Ma la vittoria di Taranto ebbe anche ricadute non favorevoli allo sviluppo delle operazioni sul mare e terrestri dei britannici. Pur avendo messo una seria ipoteca sul controllo del Mediterraneo, si videro costretti a rallentare la travolgente avanzata in Libia e a rimandare i piani contro l’Italia (la conquista di Pantelleria, di Rodi e, possibilmente, della Sicilia). La batosta indusse infatti Mussolini a chiedere aiuto a Hitler e cambiò gli equilibri nel fronte Sud, con l’intervento di due forze germaniche importanti: il 10° Corpo Aereo nel Mare Nostrum e l’Afrika Korps nel deserto libico. Era finita la “guerra parallela” dell’Italietta e i britannici dovevano misurarsi con i signori della guerra tedeschi.
Tanto i velivoli del Fliegerkorps con base in Sicilia, appoggiati da quelli italiani, che le colonne corazzate di Rommel in Cirenaica ottennero qualche successo. Da parte sua, la Regia Marina riprese fiducia nei propri mezzi e un certo controllo del Mediterraneo centrale, con benefici sulla sicurezza del traffico con la Libia.
L’autore, Francesco Mattesini, è nato ad Arezzo nel 1936. Pensionato a Roma, è stato dipendente civile dello Stato Maggiore Esercito, dal 1959 al 2000 e collaboratore degli Uffici Storici di Marina e Aeronautica. Ha prodotto venti libri e una sessantina di saggi.
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