La parrucca dell’istrice
- Autore: Ludovico Licopodio
Lodovico Licopodio, scrittore calabrese molto colto e
con notevole senso d’humour, ci introduce in un mondo tragicomico nel quale il protagonista della storia ingaggia, fin da
piccolo, una battaglia all’ultimo sangue con il proprio cervello;
ben sapendo che non potrà esserci vincitore che non sia allo
stesso tempo sconfitto. Tutto ciò che rende vivibile e degna di
chiamarsi vita felice quella dei suoi simili, diventa per lui causa di intense emicranie e disturbi ossessivi-compulsivi che lo portano ad un passo dal suicidio; così la vita all’aria aperta, il vino, le fanciulle bionde e cerulee che tanto gli aggradano, sono per lui fonte di incredibile sofferenza fisica e psichica, che lo travolgono in avventure rocambolesche. Questo incredibile intreccio di situazioni è narrato con un linguaggio al limite del desueto, con parole arcaiche ormai al di fuori dell’uso comune.
Il libro è perciò di difficile lettura proprio per la sua particolare ricchezza lessicale; ma vale senz’altro la pena affrontare il tomo, armati di un ottimo vocabolario e tanta voglia di
divertirsi. Si, perché le disavventure narrate provocano nel
lettore, in modo inversamente proporzionale, una irrefrenabile
ilarità: a conferma che è molto umano ridere delle disgrazie
altrui. Romanzo comico, tra il grottesco e il paradossale, tale da ricordare a tratti la tradizione italiana di alcuni romanzi di Gadda.
L’Autore non disdegna inoltre di seminare qua e là scene con allusioni sessuali, al limite con il buon gusto, temperate però dal linguaggio arcaico e colto che rendono sapide le situazioni, senza mai scadere nella volgarità. Il gatto si morde la coda: persecutore e perseguitato si agitano, infatti,
sotto le stesse spoglie, la cui vera identità verrà fuori solo nelle ultime pagine. La morale del romanzo è che non vi è nulla di più facile al mondo che ridere e bearsi del dolore altrui.
Chi si celi dietro lo pseudonimo di Lodovico Licopodio non è dato sapere. Di se stesso l’autore dice di essere ingegnere e scrittore, e di essere nato in Calabria, dove non vive né lavora.
Che ciò abbia come corollario che sia morto, o più semplicemente improduttivo, è più che un ragionevole sospetto, tuttavia privo dell’avallo dei mesti funzionari dell’anagrafe, così come degli estroversi estorsori dell’ufficio tributi. Irrisolto rimane il dubbio su quale condizione tra le due sia la più ardua: se vivere senza lavorare o lavorare senza vivere. Possibile che Licopodio abbia ardito di perseguirle entrambe?
Recensione a cura di Adriana de Vincolis
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La parrucca dell’istrice
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