La passeggiata
- Autore: Robert Walser
- Casa editrice: Adelphi
Robert Walser lascia un’orma più che labile sul sentiero che attraversa e allo stesso tempo la sua presenza entra nel solco di una lunga tradizione che unisce l’architettura dei luoghi al processo creativo di un’opera letteraria. Una traccia profondissima che dall’epos omerico, la discesa e risalita dantesca, i diari di viaggio dei primi esploratori e avventurieri, passando per le Promenades rousseauiane, approda all’Itaca di Kostantinos Kavafis. Il dolce naufragare del viandante come metafora della vita è il tema trattato con struggente e delicata commozione ne La passeggiata, il racconto scritto da Walser nel 1919.
La passeggiata, la cui prima stesura risale al 1916, pubblicata nel ’19 in versione definitiva, secondo il parere di alcuni sarebbe uno dei testi più perfetti di Robert Walser. I dintorni di Biel, il rifugio ritrovato al ritorno dalla lunga migrazione che lo ha portato esule a Berlino, sono molto più di un catalogo umano e paesaggistico immortalato dalla penna del suo minuzioso compilatore. Questa camminata, durante la quale Walser con la delicatezza di toni e la levità ironica che gli appartiene convince il lettore a seguirlo in punta di piedi, è l’intima confessione di un autore che cerca di tenere vivo un legame col mondo e che vuole condividere questa possibilità con quanti hanno l’animo di raccoglierla. Lo struggente tentativo di non smarrire la sensibilità, di preservare come un dono quel che ci mantiene innocenti nei rapporti con quanto è intorno a noi, di cui il dialogo con la fanciulla che si esercita al canto rappresenta forse la sintesi più alta e la perfezione dell’idillio, si accompagna all’invito a fuggire e scongiurare con ogni mezzo la deriva di avidità e ipocrisia che sembra prendere il sopravvento su tutto. E siamo pure di fronte al viaggio della vita. Il dolce naufragare del viandante cominciato al mattino e concluso incontrando la sera in riva a un lago circondato da un boschetto di ontani, quasi sacro nemus che accoglie la fine del rito, è un’allegoria dell’età umana. Un giorno in cui si agita il passaggio degli anni, dove a ritmo alternato risuonano inesorabili le stagioni del vivere. Robert Walser lascia un’orma più che labile sul sentiero che attraversa e allo stesso tempo la sua presenza entra nel solco di una lunga tradizione che unisce l’architettura dei luoghi al processo creativo di un’opera letteraria. Una traccia profondissima che dall’epos omerico, la discesa e risalita dantesca, i diari di viaggio dei primi esploratori e avventurieri, passando per le Promenades rousseauiane, approda all’Itaca di Kostantinos Kavafis. La scrittura di Walser dunque comunica direttamente con un’epica di viaggio che, attraverso i secoli, non ha mai smesso di raccontare l’uomo. Dalla semplice linearità che descrive lo svolgersi di un percorso entro coordinate ben definite nello spazio fisico, gradualmente si tesse la trama di una confessione interiore, il cammino si volge a metafora dell’esistenza, quella personale di Walser che intende riflettere l’indecifrabile destino di un’umanità viandante, e la narrazione diventa una spirale labirintica che richiama continuamente modelli dell’immaginario antico e romantico. In questa mescolanza da cui il quadro procede tra accumulazione scenica e momenti di calma, tutto è costantemente messo in discussione, la realtà o quel che si presume tale, è sempre sul punto di trasformarsi in qualcosa di diverso, di far largo al sopraggiungere del phantàstikon. Come ha avuto modo di commentare Gabriele Ghiandoni, “l’impianto è all’apparenza realistico […] ma il ritmo è da fiaba.” Nella testa di Walser le due cose vivono in contiguità. Questo lapsus che tende continuamente a incontrare sembianze allucinate e a sovrapporre alla descrizione di ciò che la vista annota l’enigma del sogno o della fantasia trasmette al lettore un irrisolvibile senso di scivolamento verso cui tutto sembra fatalmente avviato. Un viale di pioppi, il via vai degli operai, traffico di tram, scene contadine, carri e autocarri, il languore esotico di un circo itinerante, una casa colonica, ritratti di donne boeme, galiziane, zingare. E sempre la malinconia della sera insiste su ogni cosa, fin dall’inizio. Si sente avanzare nel sole, incombe allungando la sua ombra al passare delle ore. Si tratta di un lento abbandono, esplicitamente annunciato dallo scrittore nei pressi di un passaggio a livello: “qui […] – pensai fra me – si trova in certo modo il culmine, il punto centrale, dal quale in poi tutto andrà declinando.” Esattamente in questo punto, ancor più che da altri indizi disseminati nel testo, capiamo che la geografia di Walser si nutre di un’essenza trasfigurata. I personaggi hanno una particolare predisposizione simbolica e rimandano piuttosto apertamente a situazioni mitiche che dal confronto con la quotidianità acquistano un senso nuovo. Il sorriso della ex-attrice fa pensare a una Calipso dei boschi, gli orti e i pomari lungo la strada campestre somigliano alla beatitudine dei giardini di Alcinoo, l’improvvisa inquietante apparizione del gigante Tomzack che viene a impedire il cammino sembra una delle tre fiere che vorrebbero precipitare il poeta nell’inferno delle sue ossessioni, la giovane cantante affacciata alla finestra è una sirena da cui non bisogna temere nulla, la signora Aebi-Circe con la sua ambigua affatturante ospitalità ci getta addosso un senso di angoscia indicibile, il cane dal manto nero che ingombra la strada è un Cerbero pacifico a cui l’autore rivolge i suo lazzi. E su tutto corre una pulsione che spinge a tornare alla natura, continuamente richiamata dalla presenza rassicurante della vegetazione, come la selva di abeti dove ci si inoltra dopo aver schivato Tomzack, il vecchio maestoso noce davanti alla fattoria, il giardino incantato di una casa patrizia.
Walser, forse in maniera non del tutto consapevole o almeno senza farne ammissione, gioca a ricreare una forma in grado di condensare molti dei modelli letterari a lui precedenti, ispirati dalla similitudine tra vita viaggio e navigatio. Solo un momento, alle prime mosse del suo lavoro creativo, scopre le sue carte, annunciando di voler scrivere una passeggiata, cosicché il tema del racconto si autodefinisce libro proprio sotto gli occhi del lettore. La narrazione si fa dunque Ars Poetica. Attingendo al dubbio di coscienza e al desiderio di sapere che alimentano il cammino di Dante, incontra un poema di dame e cavalieri che si sono dati appuntamento nel castello di Rosaspina né disdegna di seguire per qualche istante la via delle mille e una notte. Ma si aggira anche in prossimità dell’elegia pastorale di Jeremias Gotthelf, attento osservatore delle tradizioni contadine del bernese, per poi puntare ancora alle rive fantastiche delle Fiabe del Reno e all’emozione selvatica del Godwi di Brentano. “Itaca ti ha donato il bel viaggio. Senza di lei non ti saresti messo sulla via. Nulla ha da darti più” scrive Kavafis nel 1911. Otto anni dopo, l’Odissea letteraria di Walser ridesta la struggente inquietudine per la stessa meta.
- Autore: Robert Walser
- Titolo: La passeggiata
- Titolo originale: Der Spaziergang
- Traduzione: Emilio Castellani
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 1999
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