La quarta guerra punica
- Autore: Carlo De Risio
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
Tre guerre di Roma contro Cartagine, dal 264 al 146 a.C. e una combattuta oltre un millennio più tardi dall’impero fascista, per lo stesso obiettivo. A metà del 1940, Mussolini scatenò contro la Gran Bretagna quella che Carlo De Risio considera una nuova guerra per il dominio del Mediterraneo. L’instancabile ricercatore di storia militare ha scelto “La quarta guerra punica”, come titolo per il saggio pubblicato a giugno 2019 per le Edizioni romane IBN (Istituto Bibliografico Napoleone, 150 pagine 15 euro). Il testo si avvale della solita collaborazione dell’altrettanto valido Alessandro Santoni, per la parte grafica e le illustrazioni, tante, come di consueto.
Certo che mentre 200 anni prima di Cristo all’Urbe bastava e avanzava un avversario per volta, Mussolini affiancò alla sua guerra punica le campagne in altri teatri operativi: Grecia, Balcani e la sterminata Russia, con un esito altrettanto infausto.
Quando il duce, in ritardo sull’inizio delle ostilità aperte da Hitler nel settembre 1939, decise di entrare nel conflitto, ogni buona condotta militare avrebbe suggerito di concentrare nel deserto libico le risorse logistiche e umane delle forze armate italiane. Se spese esclusivamente nello scenario cirenaico-egiziano si sarebbero dimostrate meno insufficienti e superate. Questa la convinzione di De Risio.
Il suo parere contrasta con quello in loco e a quel tempo di un testimone privilegiato: l’allora governatore della Libia Italo Balbo. Il fascista aviatore considerava infatti “buono al più per la fonderia” il materiale bellico di cui disponeva.
Artiglieria antiquata, a gittate limitate. Gran parte delle mitragliatrici erano ancora le vecchie Schwartzlose, sottratte agli austriaci sconfitti nel 1918. Deficitaria la dotazione di automezzi, carenti sotto tutti gli aspetti i cingolati e blindati. Erano limiti imbarazzanti per la guerra nel deserto, che non potendosi basare su linee fisse avrebbe finito per somigliare a un conflitto per mare, con scontri tra reparti molto mobili, ben armati e protetti. Chi avesse vinto più scontri in varie zone delle immense distese soprattutto della Cirenaica si sarebbe assicurato il controllo del territorio e una costante iniziativa tattica sul campo, come dimostrarono poi tanto il generale Rommel che il britannico Montgomery.
In tutto questo l’Italia era indietro, concettualmente, tecnicamente e numericamente, specie nei mezzi corazzati. Ne aveva pochi in genere, ancora meno in Libia. Quando a Mussolini vennero presentati i primi esemplari del tank italiano più pesante (il modesto M11, il più debole tra i carri medi europei), il grosso delle truppe corazzate grigioverdi era rappresentato dalle “scatole di sardine”, gli insignificanti carri da ricognizione “L” (sta per “leggeri”), poco più di 3 tonnellate, due scomodissimi posti per altrettanti componenti dell’equipaggio, una coppia di mitragliatrici da 8 mm, velocità massima su strada asfaltata 45 km orari. In pratica, piastre e cingoli montati intorno ad un mini telaio. Una specie di 500 Fiat anni ’60 grossolanamente corazzata.
Questo deficit tecnologico pesava, nonostante l’Italia del duce spendesse una fortuna in stanziamenti militari, quasi il 40% delle spese statali del quinquennio 1935-40, pari al 13,4% del reddito nazionale.
Non bastassero i problemi dell’industria bellica, inadeguata a reggere le pretese da grande potenza mondiale, incideva negativamente la mentalità giurassica, dei condottieri, antiquata, buona per la battaglia di Zama contro Annibale, non certo per quel conflitto tanto moderno. I generali dell’esercito italiano, cresciuti in trincea nella guerra di posizione, trascuravano il potenziale della mobilità corazzata ed erano convinti che i carri armati sarebbero stati facile preda delle sabbie (provare e sperimentare mai sia, vero?). Il nostro capo di Stato Maggiore, gen. Badoglio, si sforzava di dimostrare al collega Keitel che i tank della Wermacht erano inadatti alla guerra nel deserto. Al contrario, la campagna di Libia fu quasi esclusivamente condotta da colonne mobili corazzate. Né avrebbe potuto andare diversamente, se ancora il conflitto arabo-israeliano nel Sinai ha visto scontri risolutivi tra centinaia di carri armati, nel 1967 e nel 1973.
È stata introdotta in precedenza la figura di Balbo, che cominciò la guerra come numero uno in Libia, ma non la condusse, dal momento che precipitò col suo SM 79, colpito dalla nostra stessa contraerea nel cielo di Tobruk il 28 giugno 1940, mentre rientrava subito dopo un’incursione di velivoli britannici.
De Risio esclude che possa essere stato colpito dalle armi dell’incrociatore San Giorgio in rada, come si è sostenuto per decenni. Il secondo direttore di tiro dell’unità aveva infatti identificato chiaramente come amico il trimotore e non eseguì correttamente l’ordine tassativo del comandante di fare fuoco. Fece indirizzare le raffiche con un angolo innocuo rispetto all’aereo a volo radente.
Se il governatore è stato ucciso volutamente, per eliminare uno scomodo successore filobritannico di Mussolini, il sicario non va cercato a bordo del San Giorgio, ma su altre navi o a terra.
La quarta guerra punica. Libia, 10 giugno 1940-23 gennaio 1943
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