La sentenza memorabile
- Autore: Leonardo Sciascia
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
La sentenza memorabile di Leonardo Sciascia, racconto pubblicato nel 1982 da Sellerio, sulla scorta di Montaigne rappresenta un caso simile a quello dello smemorato di Collegno: l’affaire Martin Guerre che ha come sfondo la Francia del XVI secolo.
Sciascia nel risvolto di copertina dichiara:
“Mi piace sempre più scrivere cose come questa; e sempre più mi piace pubblicare piccoli libri come questo. Forse è che ad un certo punto della vita si vuole essere in pochi. Mi avviene persino di credere di aver inventato un genere letterario; illusione che accresce il piacere di praticarlo. Ma so anche che non è vero. Il prototipo, altissimo, resta La storia della Colonna infame; ci sono poi le "inquisisciones" di Borges e – per me – le inquisizioni filologiche e critiche di Salvatore Battaglia, indimenticabile maestro e amico”.
Sciascia con questi modelli intende così adottare il metodo della “digressione”, procedendo con il piacere della “divagazione” per rappresentare la realtà. Nel testo infatti si legge:
“Di divagazione in divagazione – e nulla è più delizioso, per uno scrittore, del divagare, dell’estravagare: lo scrivere sembra diventare pura, trasparente esistenza”.
E digressione e divagazione sono vissute come divertimento nel percorso di conoscenza. In tale ottica va letta la vicenda di Martin Guger di cui pare opportuno dare una rapida esemplificazione. Il caso sarebbe rimasto confinato nell’ambito ristretto della provincia bordolese, se Montaigne non l’avesse tramandato entro uno dei più affascinanti capitoli degli Essais, quello intitolato Degli Zoppi, riportato in appendice.
Zoppo è Martin Guerre: mutilato di guerra. E la sua storia ha inizio ad Artigat, un villaggio sui Pirenei francesi, dove si sposa verso il 1538: lui appena quattordicenne, lei sì e no di dieci o pochi di più.
Bertrande de Rols appartiene a una nota casata locale e dispone di un sicuro patrimonio, mentre Martin Guerre proviene da una famiglia di emigrati baschi che nel 1527 si era stabilita nella zona, dedicandosi a un’attività redditizia di mattoni e tegole in una fornace. Poiché i due tardano ad avere figli, inizia a circolare voce che siano state vittime di un sortilegio che impedisca loro di consumare il matrimonio. Otto anni più tardi, grazie a quattro messe e al suggerimento di un sacerdote – che fa mangiare mangiare alla donna delle ostie e una focaccia benedetta – Martin si sottrae al maleficio e diventa padre di Sanxi Guerre.
Ma la felice vita coniugale si interrompe bruscamente quand’egli, avendo rubato alcuni sacchi di cereali a suo padre (furto considerato imperdonabile dal codice basco), decide di fuggire in Spagna, lasciando la moglie, il figlio e ogni suo avere senza dare più notizia di sé. Arruolato dopo varie peripezie nelle milizie spagnole, finisce in Fiandra all’assedio di San Quintino dove, colpito da un archibugiere francese, ci rimette una gamba.
Nell’estate del 1556 si presenta un uomo: dice di chiamarsi Martin Guerre e si qualifica come lo sposo da tempo scomparso. È a questo punto che trova sviluppo la parte più sorprendente della vicenda. Bertrande, che subito comprende come realmente stanno le cose, a suo modo vuole rifarsi una vita: non da adultera bensì da sposa legittima e madre di famiglia. Pertanto, lo riconosce per suo marito, a maggior ragione quando costui mostra di essere al corrente dei problemi del paese e degli affari di famiglia. La ritrovata unione coniugale, oltre a essere coronata dalla nascita di tre figli, viene sancita anche dall’adesione di entrambi ai precetti della Riforma protestante.
Senonché, è lo zio Pierre a interrompere il felice idillio. Costui, toccato nei suoi interessi dall’intraprendenza del nipote "ritrovato" (gli aveva chiesto i conti dei beni da lui amministrati in sua assenza), lo accusa di falsa identità e lo trascina nel 1559 in giudizio. Inutilmente Bertrande tenta di difenderlo. Minacciata dai parenti di essere cacciata di casa, è costretta a costituirsi parte civile sperando tuttavia di perdere la causa.
Il giudice Jean de Coras, chiamato a dipanare le fila, simpatizzando umanamente per l’imputato dotato di una forte personalità e fedele alla donna, l’avrebbe assolto se non fosse intervenuto un fatto nuovo: la comparsa in aula del vero Martin Guerre nel momento in cui sta per essere emessa la sentenza.
Così nel 1560 i giudici del parlamento di Tolosa, la massima istanza giudiziaria della Linguadoca, si trovano di fronte all’ambiguità del caso: due uomini affermano di essere Martin Guerre e si accusano reciprocamente d’impostura. I testimoni convocati non si trovano d’accordo e neppure la moglie è in grado di risolvere la controversia.
Infine il falso marito, Arnaud du Tilh (detto Pansette), un guascone dai precedenti turbolenti che ha usurpato il nome di Martin Guerre, viene smascherato e condannato a morte, finendo nel settembre 1560 sulla forca. Subito dopo la sentenza, il giudice pubblica un memoriale, facendo risaltare l’inganno e le aberrazioni giuridiche del tempo. Pochi mesi dopo anch’egli segue la medesima sorte, impiccato come eretico dopo la sollevazione calvinista di Tolosa.
Ecco che Sciascia restituisce le vicende con la sua magnifica abilità narrativa che accortamente intreccia erudizione e immaginazione, facendo spiccare il rapporto tra verità e possibilità, prova e finzione. Scrive Onofri:
"Il processo del 1560 viene interpretato come una suggestiva chiosa ad un’affermazione di Montaigne che Sciascia trova “del più sublime laicismo”: "Dopotutto, è un mettere le congetture a ben alto prezzo, il volere, per esse, fare arrostire vivo un uomo".
Come le Cronachette (Sellerio, 1985), fra le quali la storia di Martin Guerre avrebbe potuto trovare posto, episodi all’apparenza marginali racchiudono implicazioni su cui riflettere. Sciascia anche nei fatti minimi scruta le pieghe più riposte, volgendo attenzione all’uomo. L’usurpatore, pur assumendo l’identità di un altro, suscita simpatia: non ha celato la propria personalità e il suo reato è stato commesso per amore anziché per fini di lucro. Confessandolo per liberare la donna da una brutta fine, è così andato incontro alla sua sorte crudele.
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