La spettatrice
- Autore: Paola Capriolo
- Genere: Horror e Gotico
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bompiani
Lo sguardo appartiene a due occhi neri. Di donna. Dall’ombra di un palco teatrale fissano il giovane Vulpius. Lo spingono verso una trappola tra le più insidiose: il punto di non-ritorno sotteso allo iato che divide il guardato dal guardante, l’attore dallo spettatore (nella fattispecie, dalla Spettatrice). Un legame di sguardi attratto dall’abisso.
In quanto rimandante al triplice binario vita-arte-morte, “La spettatrice” (Bompiani, 1995) è forse il romanzo più fratto della prima Paola Capriolo. Come già ne “Il nocchiero” e “Vissi d’amore”, è il resoconto in progress di un’ossessione - all’inizio latente, via via sempre più esclusiva e assoluta - il cui sbocco può rivelarsi un significato altro di esistenza (di esistenza estetica), oppure la morte. Qualche libera associazione sottotraccia al tema conduttore:
La trama è correlata all’atto di vedere, in relazione a una molteplice metafisica dello sguardo: fisso, ostinato, impertubato, sartriano (nel senso di limitante la libertà dell’altro) quello della Spettatrice. Invadente, esigente, oppressivo quello cui Vulpius, da un certo punto in poi, sottopone l’amica Dora nel corso di estenuanti messe in scena notturne.
Da un diverso punto di osservazione, “La spettatrice” è anche la cronaca di una metamorfosi per stazioni: quella cui Vulpius si sottopone con brama crisalidea, nel suo passaggio da uomo a oltre-uomo. Da essere (attore) perfettibile a nuova carne artistica. Entità statuaria, immutabile, eterna. Sulla scia dei romanzi precedenti, Vulpius è chiamato a rappresentare, il volto ennesimo di uno stesso personaggio soggiogato dall’immanente. Un giovane attore (pre)disposto a cedere al richiamo della perdizione, a una nostalgia dell’abisso che affiora come reminiscenza e fato ineluttabile. Come ne “Il nocchiero” la donna col bracciale a spire di serpente, anche la Spettatrice (l’oggetto di ossessione) si rivela al protagonista nella sua parzialità, in quanto possibile proiezione oltremondana. Incerta. Smarginata.
“Senza parere esaminò la sala da cima a fondo, finché il suo sguardo incontrò quello di una donna che sedeva sola in un palco di proscenio. Vulpius era sicuro di non averla mai vista. Sembrava giovanissima, e sfidando i dettami della moda portava i capelli lunghi, sciolti sulle spalle. Nella penombra i lineamenti si intravedevano appena, solo i grandi occhi neri sembravano brillare di luce propria e rimanevano ostinatamente fissi su Vulpius, come se all’interno del teatro non vi fosse altri che lui”. (p. 28)
Vulpius è dunque il prescelto. Un pre-destinato all’alterità percettiva. Al reclutamento spirituale posto in essere, ancora una volta in un romanzo di Paola Capriolo, da un ente (un organismo?) progettante e impassibile. Rispetto al resto degli attori della compagnia stabile, è colui che meglio incarna la finzione, in quanto immolabile alla messinscena. In una compagnia di mestieranti, egli si distingue come l’autentico posseduto. Il diverso. Il prodigio.
“La vita degli attori si svolgeva secondo ritmi precisi, non meno ordinati delle regole borghesi, e non somigliava affatto a quella avventurosa dei commedianti girovaghi. Molti di loro erano approdati al teatro municipale dopo aver recitato per anni nelle compagnie di giro, ma ora sembravano aver sepolto definitivamente qualsiasi ricordo delle abitudini precedenti, allo stesso modo di chi, compiuta un’insperata ascesa nella scala sociale, rinneghi la modestia delle sue origini. Ciascuno possedeva un papiro di spessa carta filigranata con il quale, in un corsivo svolazzante, gli veniva conferito il titolo non eccelso ma pur sempre invidiabile di Attore del Teatro Municipale, e questi fogli, debitamente incorniciati, occupavano il posto d’onore sulle pareti delle loro camere… Solo nella camera di Vulpius il diploma non era esposto, ma conservato in un cassetto fra le altre carte. (p. 14)
E poi c’è Dora. Di contro, c’è Dora. Attrice a sua volta e spasimante del giovane attore, ne incarna, come dire, l’antitesi spirituale. La natura differente e antitetica. Il polo opposto d’attrazione. Paola Capriolo la tratteggia secondo coordinate caratteriali tipiche del sottomesso. Del succube, in primo luogo, per mancanza di aspirazioni. Donna dai piaceri semplici e dallo slancio vitalistico fine a se stesso, solo attraverso la morte (sopraggiunta per lenta consunzione, provata degli affanni che le derivano dalle sedute cui Vulpius la sottopone) Dora acquisirà quella bellezza scultorea, solenne, iconica, impassibile che è dell’opera d’arte e dell’inanimato.
“Solo Vulpius stava in disparte, al capezzale di Dora, seguendo la lenta metamorfosi del suo viso che col passare del tempo si faceva sempre più rigido: si stentava persino a credere che una qualsiasi espressione avesse potuto animarlo, tanto la fissità vi appariva una condizione eterna e ineludibile. Le labbra erano leggermente dischiuse in un’estasi raggelata, come se negli ultimi istanti a Dora fosse stato concesso di scorgere ciò che veniva a distruggerla. Forse per questo, perché custodiva sotto le palpebre abbassate il ricordo di una simile visione, gli si mostrava più bella di quanto fosse stata mai; la sua civetteria un po’ patetica e il brio disordinato dei suoi gesti si erano placati in un’immagine che già sembrava scolpita nel marino di un monumento funebre, e Vulpius si sentiva confermato nell’idea che la quiete fosse superiore al movimento, la morte alla vita. Così il macabro spettacolo dal quale gli altri distoglievano gli occhi con orrore costituiva per lui una trasfigurazione miracolosa: prima di svanire nel nulla, Dora ascendeva a quell’ineffabile purezza che non è degli esseri umani, ma soltanto dei cristalli e delle statue, di quanto non ha mai posseduto la vita o da essa si è separato... Qui finalmente gli parve che la morte dell’amica avesse trovato un degno scenario, una regia ferrea e inappuntabile in grado di esaltarne il mistero” (p. 135)
Attraverso l’insistito panoramicare sui dettagli (scopia ennesima di un romanzo fondato sul guardare), Paola Capriolo restituisce la progressiva trasmutazione di Dora: dal caduco al perfetto, dal contingente al necessario. L’immolazione artistica di Dora sarà prodroma infatti di un successivo, e ben più solenne, atto metamorfico: quello cui Vulpius sottostarà in obbligo alla scorsa inindulgente della Spettatrice. Il solo sguardo per cui l’attore ha recitato da sempre senza saperlo. Lo sguardo invasivo della Spettatrice (una borghese bon vivant? Un’avventuriera? Un’oscura divinità? La Morte? Oppure il frutto di una proiezione mentale?) cui il giovane non può, nemmeno in ultimo (meno che mai in ultimo), fare a meno di sottrarsi. Al culmine di un processo di atarattica esaltazione dove la rappresentazione estetica viene a connotarsi ancora una volta (ricordate il finale di “Vissi d’amore”?) come una ritualità sacra, religiosa. Il viatico attraverso cui l’individuo prescelto è posto in contatto con l’Ideale; l’ontologico con l’immanente. Esplicitazione della parabola tipica caprioliana, dove il relativo è sacrificabile all’assoluto. L’individuo al Tutto.
In un teatro deserto d’estate, tra cariatidi e amorini, tra corridoi deserti e palcoscenici scricchiolanti, Vulpius si dispone così alla definitiva - emblematica, sacrale, ascensionale - messinscena.
“Un piccolo neo, una trascurabile imperfezione: basta fermarsi per qualche minuto e respirare a fondo e l’agitazione si placherà, perché non è lui ad agitarsi ma soltanto il suo cuore, il suo sangue, il suo corpo, quel meccanismo riottoso che oppone ai suoi propri fini e che pure egli non dubita di riuscire a piegare. Lascia scorrere lo sguardo da un capo all’altro della sala, s’indugia su cariatidi e amorini sulle tende cremisi e sul luccichio smorzato degli stucchi, cercando il sostegno di quei muti alleati. E davvero gli sembra di trarre forza da quanto lo circonda, di ricevere una definitiva approvazione da un’autorità dinnanzi alla quale nulla rimane se non la resa e l’obbedienza...
Così rimane, supino, immobile, così intende rimanere, finché quel corpo ribelle si faccia pietra e le statue lo accolgano nella loro vittoriosa comunità. Ora le labbra sono leggermente dischiuse in un’estasi raggelata, le palpebre serrate diventano sempre più pesanti, ma Vulpius non ha bisogno di aprire gli occhi per sapere che dal palco la spettatrice lo sta fissando”(pp. 168-169).
La spettatrice. Romanzo.
Amazon.it: 9,00 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La spettatrice
Lascia il tuo commento