La sposa di Auschwitz
- Autore: Millie Weber e Eve Keller
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2013
“La sposa di Auschwitz” è una testimonianza di vita scritta da Millie Weber, protagonista della narrazione, insieme a Eve Keller, una docente di letteratura. Le due donne sono amiche di famiglia ma è Martin, il primogenito di Millie e del secondo marito di lei, Jack, a chiedere a Eve di ascoltare i racconti della madre e di farli poi, magari, divenire un libro. Inizialmente c’è una riluttanza naturale da parte di ambedue: per Millie è molto difficile raccontare la sua vita nel dettaglio poiché questo è tipico dei sopravvissuti agli orrori della Shoa e per Eve significa forzare le barriere psicologiche e affettive di un’intera vita. Agli incontri, prima un po’ formali, ne fanno seguito altri in cui familiarizzare e aprire l’animo è più facile.
Dopo la ricostruzione delle vicende storiche dal 1939 in poi, nel libro ci si inoltra nella storia di quegli ebrei costretti a lavorare nei “ghetti” della città di Radom e, dal 1942 in poi, al racconto della deportazione nel campo di sterminio. All’inizio della narrazione Millie è solo una ragazzina, figlia di una dignitosa famiglia ebrea che, nella primavera del 1941, è obbligata a trasferirsi nel ghetto, portando con sé solo una piccola parte delle proprie cose. La vita cambia :
“Fui terrorizzata dalla vita del ghetto fin da principio.... Prima non avevo mai conosciuto la fame .... una pagnotta, un vero tesoro”.
Comincia, così, quel terribile periodo che di umano ha ben poco perché, nel ghetto, il pericolo e la sofferenza sono all’ordine del giorno: si deve lavorare, obbedire, si subiscono maltrattamenti e abusi, segni incancellabili nel corpo e nello spirito. La protagonista, chiamata affettuosamente dai suoi cari Mianiusia, è testimone di scene raccapriccianti per una ragazzina di quattordici anni o poco più. La vita nel ghetto prosegue: si lavora duramente, si continuano a soffrire fame e freddo e si cominciano a perdere gli affetti più cari la cui esistenza è sottratta dalla furia tedesca. Ma, nonostante l’immane tristezza, il destino riserba qualcosa che, a volte, proprio non ci si aspetta. E’ il caso dell’incontro con Heniek Greenspan, un giovane poliziotto ebreo del ghetto, un uomo buono, dall’animo gentile che subito cattura il cuore di Millie. Nonostante il pericolo, la fame, le difficoltà di sopravvivenza, il sentimento che nasce tra loro è assai forte e i due giovani insieme riescono ancora a sperare e, così, si uniscono in matrimonio. Per tutta la vita Millie ha conservato le loro fedi, simbolo di amore e passione, vissuti solo in minima parte perché dopo alcuni mesi Heniek viene portato via e a lei resteranno solo quei pochi ma intensi ricordi. Di lui, infatti, più nessuna traccia, né nel ghetto né ad Auschwitz dove anche la sua giovanissima sposa viene deportata. La protagonista porta con sé, ben celati, gli ultimi beni che le sono rimasti: alcune foto dei suoi cari e gli anelli nuziali. Sono le compagne ad aiutarla a nasconderli e a rendere quegli oggetti testimonianza d’amore e, al contempo, di sofferenza e sacrificio.
La narrazione non si discosta molto da altre sull’Olocausto e, sebbene Millie dica più volte di aver perso la fede perché quel Dio i cui miracoli aveva implorato non si era mai manifestato negli orrori dei campi di sterminio, sebbene la crudeltà nazista abbia cancellato milioni di vite e abbia tolto un senso a quelle rimaste, non tutto è andato perduto. Quel che colpisce maggiormente è la dignità degli ebrei che, pur non trattati più come esseri umani, tacciono, sopportano, celano fiumi di lacrime, non solo per paura ma anche per la loro grandezza interiore. Ecco, nella vicenda, il miracolo, in realtà, avviene: è l’amore di quella giovane coppia, finito troppo in fretta, come un fiore reciso che, però, non appassisce e mantiene intatto, nel tempo, il suo profumo. Poi la guerra ha termine e Millie, come tanti altri, deve affrontare immani difficoltà per ricominciare una vita dignitosa. Le è accanto un uomo, anch’egli testimone degli orrori dei lager, anch’egli giovane vedovo a causa dello sterminio. Insieme, forse, la vita può andare avanti e questo è ciò che succede. I ricordi di quell’inferno, rimangono, però, indelebili.
Millie scopre, tanti anni dopo, in Eve un’amica cui può confidare i suoi trascorsi e le sue vicende più intime. Forse lo fa anche perché ora è ormai sola e, soprattutto, non teme di far torti affettivamente a chi ha voluto bene. Può allora confidarsi, parlare:
“E’ dura esser vecchi, ma c’è una sorta di liberazione nella tarda età perché finalmente ti rendi conto di poter dare voce alla memoria e di poter raccontare la verità e capisci che non è un tradimento o un’indelicatezza. Ho detto basta ai segreti, posso dichiarar a gran voce il mio amore, affinché non muoia con me.
Mio Heniek, ti ho amato tanto”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La sposa di Auschwitz
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