La terra dei Kalinga di Antonio Raciti

Non compro libri che parlano di viaggi da quando, tanto tempo fa, ho letto “In Patagonia” di Chatwin. Per due motivi: il primo è che non credo si possa descrivere un viaggio meglio di come l’ha fatto lui e il secondo per un mal celato senso di “invidia” verso chi quei viaggi li fa e li vive mentre io li posso solo leggere. Ma “La terra dei Kalinga” di Antonio Raciti mi ha fatto traballare non poco queste mie certezze.

Non è un semplice racconto di viaggi e non è un romanzo, ma possiamo definirla la storia appassionata di una lunga scoperta che porta il lettore a conoscere le mille contraddizioni di una terra diventata famosa per la nota vicenda dei Marò. Dire India oggi, è come dire Marò.
Ma qui non ci sono soldati o giudici, ci sono Antonio Raciti e Carmen Leto che da appassionati viaggiatori, accompagnati dalla loro guida, Mister Mishra, si addentrano nella terra dei Kalinga, una repubblica centro orientale dell’India, lontano dai flussi turistici, alla scoperta di templi, monumenti, storie e tribù come i Bonda che sembrano usciti da un’altra dimensione. Ma anche i Bara, gli Olari e gli intoccabili Shudra, appartenenti alla casta bassa.

Nel corso del viaggio, Antonio e Carmen visitano e ci raccontano dei templi di Bhubaneswar, del Tempio del Sole di Konark e di quei luoghi in cui l’estasi di Krishna diede inizio alla leggenda del dio dagli occhi grandi e lo fanno con una leggerezza che a volte contrasta con i flashback che portano Antonio a rivivere momenti e ricordi dell’infanzia dei suoi figli, a cui è legato (pare) da un rapporto difficile, e della propria vita.

La terra dei Kalinga non è solo un viaggio proiettato verso la scoperta ma soprattutto proiettato verso il ricordo.