La vita al tempo della peste. Misure restrittive, quarantena, crisi economica
- Autore: Maria Paola Zanoboni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
“I medici non bastavano a curare un morbo sconosciuto e nuovo”.
Quante analogie con la pandemia di questi tempi da Covid-19, ma la citazione risale a 2500 anni fa, a uno storico greco, Tucidide e si riferisce al manifestarsi della prima pestilenza nell’antica Europa, il flagello spaventoso che ha tormentato l’umanità per due millenni (ma è ancora endemico in qualche parte del mondo). In un saggio pubblicato nell’autunno 2020 dalla casa editrice Jouvence, La vita al tempo della peste. Misure restrittive, quarantena, crisi economica (214 pagine), la docente associata di storia economica medievale Maria Paola Zanoboni ricostruisce l’impatto del “terribile morbo” sotto tutti gli aspetti, economici, sociologici, psicologici, oltre che storici.
La peste veniva probabilmente dall’Etiopia, avendo imperversato prima in Egitto e Persia. Apparve ad Atene, favorita dalle pessime condizioni igieniche tra le truppe e la popolazione, durante l’assedio della città dopo l’invasione dell’Attica da parte della Lega spartana, nella Guerra del Peloponneso (431-430 a.C.). Non c’era rimedio che avesse efficacia e chi non soccombeva alla malattia non sviluppava alcuna immunità, potendo soffrire ricadute. Si moriva nelle case, nelle strade, nelle piazze. I sani non riuscivano a dare conforto a malati e moribondi e a bruciare i tanti cadaveri.
Sono scenari che dall’antichità greca e romana si ripeteranno a ondate in Europa, fino al XVIII secolo, con due terrificanti pandemie principali, a metà del 1330 (la Morte Nera, che falcidiò un terzo della popolazione del continente) e nel 1630, portata dai mercenari lanzichenecchi e raccontata da Manzoni. Ultimo episodio, l’epidemia di Marsiglia del 1720-1721, circoscritta e debellata con provvedimenti che sono antenati degli attuali: sanificazione di locali e materiali, divieto di assembramenti e di allontanarsi dalla propria residenza.
La ricostruzione della prof.ssa Zanoboni dà conto tanto delle fasi delle pestilenze quanto delle diversità tra le forme di manifestazione, considera le misure per affrontarle, la creazione degli ospedali e la formazione dei medici, le ricerche degli speziali (i farmacisti di allora). Tiene anche conto delle psicosi collettive scatenate.
Considerate le impressionanti analogie con la pandemia mondiale di Covid-19, sempre più evidenti nelle pagine, saltano agli occhi le ragioni di interesse e attualità del lavoro della studiosa di economia medievale, che sviluppa e amplia saggi pubblicati per la rivista “Medioevo Dossier”, compreso un fascicolo monografico uscito sullo stesso argomento nel 2013.
Dal 1300 al 1700, il metodo comune per cercare di far rispettare i provvedimenti e le limitazioni è stato il ricorso a forme di vera e propria dittatura sanitaria. Per secoli, le epidemie di peste coinvolsero ovunque tutti gli aspetti della vita economica politica e sociale, sempre con affinità impressionanti: oltre alla caccia agli untori, il negare l’evidenza davanti alle prime avvisaglie del contagio, per paura delle ricadute negative; le conseguenze devastanti sul commercio delle misure restrittive; i tentativi dei governi di soccorrere i disoccupati con sussidi e di sanare il deficit con prestiti, emissione di titoli del debito pubblico, previsioni di nuove tasse.
Il panico iniziale che ha portato l’inverno scorso a svuotare gli scaffali dei supermercati nel timore di una lunga quarantena assumeva nel passato la forma dell’assalto ai forni.
È sconcertante verificare che gli strumenti di prevenzione disponibili oggi siano gli stessi elaborati nel 1300, a partire dal Nord della penisola, recepiti tardi dal resto dell’Europa (tardissimo dall’Inghilterra) e adottati con successo fino al 1721 a Marsiglia, quando l’ultimo cordone sanitario cancellò quasi completamente il morbo dal vecchio continente.
Episodi si verificarono nel 1743 a Messina, in forma blanda ancora a Marsiglia nel 1786, a Noja e a Venezia nel 1815-16, casi isolati a Parigi nel 1920 tra i cenciaioli. Nell’Italia meridionale alcuni episodi nel 1945. Fuori dall’Europa, la peste resta tuttora endemica nell’Asia centrale e durante la guerra del Vietnam 25mila casi, con vittime tutte vietnamite.
Se la patologia è curabile con gli antibiotici (tetraciclina e streptomicina), nel settembre 1994 è stato comunque arduo contenere un episodio di peste polmonare e bubbonica nel Sud dell’India, non lontano da Bombay. Presa dal panico, la popolazione si è abbandonata a una fuga di massa inarginabile.
Tra l’agosto e il novembre 2017, una pestilenza ha colpito il Madagascar con 2267 casi (76% polmonare, 14% bubbonica) e 195 vittime. Si è accertato che per la varietà bubbonica il contagio può avvenire attraverso le pulci dei ratti e altri roditori (scoiattoli) o cani della prateria, che avevano ingerito carni infette.
Effetti solo negativi? L’epidemia che falcidiò l’Europa nella seconda metà del XIV secolo (la pestilenza raccontata da Boccaccio) generò la crisi del 1300, una congiuntura malthusiana che, pur decimando una popolazione priva di mezzi di sussistenza perché cresciuta troppo rispetto alle risorse disponibili, provocò cambiamenti in ogni settore e nell’assetto del territorio, favorendo nel lungo periodo anche una ripresa economica e trasformazioni sociali positive.
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