La voce dai riflessi rossi. Fiorella Mannoia in 100 pagine
- Autore: Federica Venezia
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Lo confesso a mezza voce, così magari non mi sentono: sono stato profondamente innamorato di Fiorella Mannoia. Lo sono stato sin da subito, da “Caffè nero bollente” in avanti, lo sono stato, in special modo, per via del suo trittico delle meraviglie “Canzoni per parlare” (1988), “Di terra e di vento” (1989), “I treni a vapore” (1992): quei dischi ormai sono belli che andati, friggono, più che suonare nel piatto del mio stereo. Scorrevo le firme degli autori presenti in track-list e per poco non ci restavo secco: dietro all’interprete romana ci stava il fior fiore del cantautorato colto-impegnato-raffinato al prezzo di uno, gente della specie dei Ruggeri, dei Bubola, dei De Gregori, dei Fossati (Fossati prima di tutti, più di tutti), se ci tenete proprio che vi faccia dei nomi. Adesso è un po’ che la cotta mi è passata, ma non fraintendetemi: la cantante è rimasta unica e inconfondibile (un po’ come il gusto di quel liquore della pubblicità), è l’aria che tira tra i vetero-cantautori che non mi piace più, che trovo, insomma, così così: volete mettere la “poetica” (?) di un Cremonini - o degli stessi Ferro, Bungaro o Jovanotti - (hanno tutti firmato qua e là per gli album più recenti della Mannoia), con quella degregoriana di “Cuore di cane” o quella fossatiana di “Le notti di maggio”? Passerò, come spesso mi succede, per passatista fradicio, ma il cantautorato “vero” era quello là e pure la Mannoia vera, se non vi spiace, era quella là. La cantante che rileggeva e cantava i pezzi dei cantautori come se niente fosse, nemmeno fossero stati i suoi (mica con l’aria di una cover-girl qualunque), nemmeno fossero usciti dalle sue di testa e di penna; la Mannoia declinazione in gonnella della canzone italiana di nicchia che conta, al punto che quasi ti confondevi: era o non era una cantautrice? La Mannoia voce insolita da contralto, capace di invogliare alla sospensione di incredulità senza finto-virtuosismi da finta-Mina, finta-Giorgia, finta-nera, senza, anzi, confidare nemmeno troppo sugli “alti”, che quando canti le parole che si dovrebbero, basta e avanza la voce che uno ha. Brava, bravissima, incommensurabile mi scappa da dire, Fiorella Mannoia, quanto meno per me e fino a “Gente comune” (1994), il disco in cui si intravedono già i cambiamenti di rotta,
“si percepiscono i segnali di una svolta, ossia il tentativo di elaborare, in alcuni degli episodi proposti, uno stile più popolare e meno di nicchia”.
Ora non è per strumentalizzare, ma queste ultime non sono parole mie. Il giudizio che avete appena scorso è della giornalista Federica Venezia e sta a pagina 47 di “La voce dai riflessi rossi. Fiorella Mannoia in 100 pagine”, la biografia artistica mannoiana che ha appena firmato per Aereostella. Aderente allo spirito della collana, un libretto di taglio agevole seppure puntualissimo, che ripercorre e rivede passo passo la parabola della cantante: dagli esordi come stunt-girl cinematografica (lo sapevate?) al successo di “Quello che le donne non dicono” (Premio della Critica, a Sanremo 1987), compresi - ovvio - i tanti altri a seguire (ben quattro Targhe Tenco come migliore interprete), persino in tempi attuali, alla faccia del sottoscritto che non ne vuole sentire di aggiornare le sue ossessioni musicali (però il suo ultimo “A te” mi è piaciuto molto, si tratta di un omaggio live a Lucio Dalla, segno che se ci sono quelli davvero “grandi” a coprirle le spalle, la musica cambia, eccome se cambia). Poiché non posso tirarla ancora per le lunghe, concludo dicendo che il saggio musicale di Federica Venezia fa in tutto e per tutto il suo dovere, restituendoci il piano ravvicinato di un’artista tra le meno scontate e dunque tra le più acute della scena italiana. Piacerà dunque ai puri di spirito musicale e persino a qualche reduce, nostalgico dei cantautori che furono, come chi ha scritto. Perché no?
La voce dai riflessi rossi. Fiorella Mannoia in 100 pagine
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