Le Volòire. Storia delle Batterie a cavallo
- Autore: Rinaldo Panetta
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2018
“Volòire”, volanti, è così che le chiamavano i civili piemontesi che vedevano galoppare veloci gli artiglieri a cavallo e i cassoni delle munizioni sulle ruote traballanti. “Volòire!” era anche il grido di guerra, al posto del classico “Caricat!” della Cavaleria. E “Le Volòire. Storia delle Batterie a cavallo” è il volume a firma di Rinaldo Panetta, riproposto da Mursia nel 2018 (204 pagine, con due ampi inserti fotografici in bianconero di 16 pagine, 17 euro), sulla base della prima edizione 1968.
Panetta, tenente colonnello dell’Esercito nella Seconda guerra mondiale, dopo il congedo alla fine del conflitto si è dedicato quasi totalmente agli studi storici. Con Mursia ha pubblicato, tra gli altri, “I Saraceni in Italia”, prima edizione nel 1973 e “Pirati e corsari turchi e barbareschi nel Mare Nostrum”, nel 1981.
La creazione delle Batterie a cavallo, nel 1834, si deve ad un giovane luogotenente di Cavalleria del Regno di Sardegna, Alfonso Ferrero marchese di La Marmora, fratello minore di Alessandro, altro fondatore di nuovi reparti dell’esercito piemontese: uno dell’artiglieria leggera montata e ippotrainata, l’altro dei Bersaglieri. Sono entrambe specialità storiche dell’attuale Arma terrestre, che oltre alla tradizione gloriosa hanno tratto dal passato epico anche le uniformi risorgimentali che indossano spesso in parata. E come si può nuovamente ammirare quando le nuove Batterie le vestono, si tratta di reparti tipicamente ottocenteschi e decisamente romantici.
Nel 1844, per distinguere ulteriormente l’Artiglieria leggera dai cannonieri delle altre specialità (i serventi sedevano sui cassoni e non montavano sui cavalli del tiro a quattro), La Marmora ottenne che sullo shakò - il copricapo poi semplificato in kepì - venisse applicata una lunga criniera nera, in luogo del pennacchio “a salice piangente” dell’Artiglieria. Veniva infilata con la “tulipa” nella nappina del berretto e durante la corsa fluttuava al vento in modo suggestivo. Per trombettieri, staffette e portaordini, la criniera era bianca.
Osservando le Batterie al galoppo a rotta di collo su brughiere e pendii, vedendo gli uomini, i cavalli, i cassoni e i pezzi battere velocemente gli acciottolati delle strade al rientro negli alloggiamenti di Venaria Reale, i torinesi si dicevano gli uni con gli altri “passa la Volòira”, ammirando la corsa di artiglieri, animali e agili ruote caracollanti.
Dal punto di vista dell’impiego sul campo, il progetto di La Marmora di costituire nell’ambito dell’Artiglieria leggera batterie montate “destinate a far campagna”, derivava dalle guerre napoleoniche. Napoleone Bonaparte, non dimenticando i suoi ottimi trascorsi di ufficiale d’artiglieria, aveva sviluppato l’intuizione del re di Prussia Federico il Grande di schierare in battaglia unità di cannoni leggeri rapide e molto manovrabili, duttili e di impiego tattico immediato all’occorrenza. Spostate con velocità e audacia sul terreno, le bocche da fuoco potevano colpire efficacemente il nemico alla minima distanza. Ad Austerlìtz, il 3 dicembre 1805, artiglieri italiani della Batteria a cavallo della Guardia avevano manovrato rapidamente, seminando il panico tra le file dei russi, sotto gli occhi dell’Empereur.
In Piemonte, le Batterie a cavallo già esistenti disponevano però di cannoni rigidi. I serventi sedevano su cassoni e avantreni e questo rallentava il loro schierarsi sul campo di battaglia. Dovendosi muovere solo sulle strade, avevano difficoltà a raggiungere il posto giusto in linea, secondo l’andamento degli scontri di fanterie che avrebbero dovuto appoggiare. La dottrina d’impiego dell’ora capitano La Marmora faceva perciò affidamento su cannoni elastici, bilanciati sull’asse delle ruote. Tutto il personale montava in sella, compresi i serventi. In questo modo riuscivano a galoppare fuori delle strade, superando rapidamente terreni accidentati, guadando corsi di acqua e scavalcando ogni ostacolo, per giungere sulle posizioni ravvicinate dalle quali aprire il fuoco sugli obiettivi. Anche rovesciandosi, i cannoni continuavano a rotolare sulle ruote, pronti ad essere messi in batteria in pochissimo tempo.
Il battesimo del fuoco avvenne nel 1848 a Monzambano e Pastrengo, l’attività fu subito intensa, in tutta la campagna e anche a Novara l’anno successivo. Le Volòire corsero a perdifiato in tutte le guerre d’indipendenza, combatterono appiedate nel 1915-18 e conclusero la loro epopea bellica nelle steppe russe. Alla fine del 1941, a Chazepetowka, la nostra avanzata era bloccata dai russi e venne ordinata l’ultima carica. Il 1° Gruppo arrivò al galoppo e piazzati i quattro pezzi allo scoperto vomitò 300 colpi in sette minuti contro l’obiettivo, consentendo ai fanti di conquistare di slancio la posizione.
Componenti delle Batterie entrarono poi tra le unità italiane cobelligeranti con gli Alleati, nella liberazione dell’Italia dai tedeschi, tra il 1943 e il 1945.
Oggi il Reggimento Artiglieria a cavallo Volòire fa tuttora parte dell’Esercito, nella Brigata di Cavalleria Pozzuolo del Friuli. Un gruppo montato è attivo nella Caserma Santa Barbara di Milano.
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