L’anima degli altri
- Autore: Alba de Céspedes
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2022
La gioia di rimaneggiare, oggi, nuove edizioni di libri in cui la voce del femminile letterario del Novecento si è espressa forte e chiara è frutto della lodevole iniziativa di alcune case editrici indipendenti. Soprattutto, dobbiamo a loro la conoscenza di interpreti che hanno letto, da un’altro punto di vista, la storia culturale e sociale del nostro Paese che, fino a oggi, sembrava essere stata scritta solo da letterati maschi.
È questo il caso della casa editrice Cliquot, che riporta sugli scaffali l’opera prima di Alba de Céspedes grande interprete del suo tempo, che fu scrittrice, attivista, come diremmo oggi, per la libertà civile e per i diritti delle donne. L’anima degli altri è una raccolta di racconti pubblicata nel 1935, quando l’autrice aveva solo 24 anni, e che non era stata mai (sottolineo: mai) ripubblicata finora, malgrado il valore indiscusso in campo intellettuale che de Céspedes si ritagliò con coraggio, fatica e grande talento, sia con le sue opere che con l’attività in campo politico-social-culturale.
Ottantasette lunghi anni di oblio, per L’anima degli altri, che introduce il pensiero e la visione future di de Céspedes, contenendo in nuce il suo modo di riflettere e vivere il ruolo delle donne nella nostra storia.
Alba de Céspedes
È singolare come de Céspedes, che dedica gran parte del suo lavoro di scrittrice a parlare della condizione sociale e delle crepe nella dimensione familiare della donna, ha come prima persona a credere in lei proprio un uomo, suo padre, il quale fin da quando era bambina le raccomanda di non pensare ad altro che a scrivere, perché diventerà una grande scrittrice, cosa che accade, malgrado l’opposizione e il sabotaggio della cultura fascista, in assoluto caratterizzata dal più bieco maschilismo.
Proprio nell’anno di esordio con L’anima degli altri, nel 1935, quando ha solo 24 anni, de Céspedes è tratta in arresto e portata a Regina Coeli, dove rimane per sei giorni allo scopo di “farle dire che non faccia discorsi stupidi”mai più. Così Bocchini, l’allora capo della Polizia, aveva scritto di suo pugno tra gli ordini di arresto da eseguire nei confronti di de éespedes il 12.02.1935. Nel 1938 la censura colpisce, a più riprese, il suo libro più importante, Nessuno torna indietro, che Mondadori, sfidando il regime, continua a pubblicare, anche “alterandone" alcuni contenuti, pur di mantenerlo in circolazione e aggirare il divieto. Non a caso Alba de Céspedes assurge a paradigma del rapporto tra censura e letteratura nel periodo fascista, nell’importante studio sul tema di Guido Bonsaver del 2007.
Le tematiche di de Céspedes
È chiaro immaginare cosa non piace al Regime della letteratura di Alba de Céspedes: la sua visione della condizione femminile. La descrizione di protagoniste che si riscattano con l’adulterio, il tradimento da una vita appiattita sui loro mariti e da una dimensione ancillare. La ribellione a una vita interstiziale trascorsa all’ombra di una mascolinità avulsa da dinamiche di comprensione e valorizzazione della figura femminile sia in ambito matrimoniale che esterno alla famiglia. Donne che rivendicano con il corpo la libertà per la loro mente, per il loro pensiero, per sfuggire alla sola dimensione della bellezza come sinonimo esclusivo di femminilità e ingannevole metro di accettazione sociale.
È proprio in questi temi, maneggiati con convinzione anche se in toni non ancora coraggiosamente schietti, che L’anima degli altri mostra il suo valore più profondo. La raccolta dimostra che nell’esordio è già presente in de Céspedes la vocazione critica espressa in tono ironico o celata da toni finto celebrativi, in realtà parodistici, al limite della comprensione da parte di un occhio impegnato a cercare solo il compiacimento quale quello degli organi culturali fascisti. Le tematiche che caratterizzeranno tutta la sua produzione futura impregnano già la raccolta.
È evidente, nei 18 racconti o novelle che la compongono, che i personaggi femminili sono sempre protagonisti, anche quando non sembrano esserlo.
Quando de Céspedes ne Le anime degli altri parla di uomini, i riflettori del racconto convergono in realtà sempre sulla donna. Che sia in carne e ossa o un’ideale, che sia un ricordo o un nemico contro cui combattere la donna è protagonista assoluta.
I personaggi maschili prendono corpo solo all’ombra di quelli femminili e non sempre sono figure umane gratificanti, anzi. Ne emerge un ritratto maschile debole, malgrado le apparenze, incapace di agire, senza determinazione, che perde il contatto con la realtà.
Uomini deboli, in cerca di forza per sostenere un dolore inoculato da comportamenti femminili liberi, inaspettati rispetto al modello dominante di donna: uomini che mancano di coraggio nell’affrontare la vita, malgrado la virilità che mostrano subdolamente nell’accondiscendenza con cui trattano la loro compagna. Uomini che non hanno autorità neppure in famiglia, come nel racconto Autorità.
La denuncia di de Céspedes in questi racconti è la noncuranza maschile verso parole, gesti e sentimenti femminili. L’arrogante indifferenza maschile che mutila ogni velleità di affermazione, che degrada la donna a companatico maschile è propulsione all’esigenza di fuggire, non solo mentalmente, verso amori fantastici o reali che siano, ma che riflettano in qualche modo la propria immagine di donna, troppe volte trascurata.
Questo è anche ciò che accade a de Céspedes che, in fondo, condivide con le sue protagoniste una vita matrimoniale senza slanci, persa dietro alla figura maritale, priva di linfa. Lei stessa ammette, in una lettera al marito, di avere sempre “voluto che la vita fosse bella e felice per te come avrei voluto che qualcuno la inventasse per me da quando sono nata. E tu non mi hai fatto niente di male, niente di male. Solo che le colombe che io inventavo si spaccavano la testa, tutte, contro la pietra di cui sei fatto”. Dunque un matrimonio vissuto a rimbalzare su un muro di indifferenza.
Sullo sfondo delle storie c’è la famiglia alto borghese, asfittica, paralizzata in rapporti coniugali senza sprazzi di imprevedibilità se non quelli con cui le donne li sferzano: adulteri, gelosie, indifferenza. De Céspedes racconta eventi relazionali a carattere intimo e caratterizza bene la mentalità e l’anima dei personaggi. Sotto quest’ultimo profilo, sottolinea in coloro che ancora abitano una società rurale un’autenticità di sentimenti e relazioni che sembra sopravvivere all’indifferenza corrosiva delle relazioni umane e amorose nella città.
Il linguaggio
De Céspedes parla una lingua cristallina, elegante e cesellata fino allo sfinimento. Ma la magia è che questa perfezione che caratterizza l’uso chirurgico della parola, il lessico accurato, puro e mai fuori posto, nella sua rigorosa essenzialità non arriva mai a raffreddare il linguaggio, conservando al lettore la possibilità di empatizzare con i personaggi, di soffrire e immedesimarsi nelle loro anime. Basta leggere Il miracolo, e si ha davvero la sensazione di leggere qualcosa di subliminale, di lirico. Il lessico è studiato, puro, la parola riluce sulla pagina, un racconto che coniuga il contenuto sacrale con un tono grottesco, rimanendo in bilico tra realismo e verismo, che rivela l’eccezionale talento di scrittrice di de Céspedes. Un racconto tra i più belli della raccolta.
Questo rapporto con la scrittura, che è quasi un corpo a corpo per l’impegno con cui l’autrice se ne serve, diventa palese nel racconto seguente, Il capolavoro, in cui affronta proprio l’equilibrio, forse introvabile, tra scrittura e vita; tra conoscenza ed esistenza; tra tempo della vita e tempo della scrittura; amore per la pagina e amore per le persone. L’antagonismo tra la propria vita e quella che si vive, scrivendo storie. Un racconto di rilevante intensità concentrato in uno spazio brevissimo. Una gemma incastonata nella raccolta.
La raccolta L’anima degli altri
La bellezza della raccolta L’anima degli altri consiste nella coscienza artistica ancora acerba costellata di spunti che costituiranno per l’autrice base solida della propria arte futura.
Diciotto racconti nei quali ci si sente sulla pagina al posto dei protagonisti in quel gioco di specchi che, quando si parla di anime come in questo caso, è arduo maneggiare, mantenendo un tono intimo, ma sulla pagina fresco e mai retorico. De Céspedes ci riesce proprio grazie all’uso di un linguaggio lessicale preciso e leggero nella sintassi.
Talvolta molto amari, i quadri raccontati sono dipinti con mano ferma e occhio attento al dettaglio, alle sfumature di luce e colori, i chiaroscuri del quotidiano, luogo delle storie di de Céspedes, sono emozionanti.
La raccolta si apre con un racconto che sfiora il realismo magico, Il ladro. Immaginate cosa accadrebbe se il protagonista di un romanzo si materializzasse o se qualcuno si riconoscesse così tanto in lui da andare a prendere di petto l’autore. Magari anche un po’ risentito. Ecco ne Il ladro la fantasia di de Céspedes lo descrive in modo inquietante e realistico. Sa entrare nell’anima di un personaggio di carta, così come entra nella carne viva.
Altrettanto carnale è il racconto dell’adolescenza di cui scandaglia sentimenti e inquietudini scatenati dagli approcci all’amore, sia dal punto di vista maschile che femminile. Due punti di vista di cui evidenzia differenti reazioni e prese di coscienza. Ne La camicia da sposa, i pensieri, le contraddizioni e le paure ancora puerili di Mario sono visive. Anche noi vediamo con gli occhi del protagonista la donna come un’ideale inarrivabile, proviamo la morsa della confusione che si genera quando ci si sente attratti, mancando però ancora la consapevolezza di sé:“A quell’età ci si innamora come se fosse un dovere; si sceglie la persona che si deve amare e si soffre per lei”.
Sensuale, magnetica, concreta è invece l’adolescenza femminile che descrive in Arsura. Il racconto, con tono denso di sottile erotismo, ha per protagonista Mariella che inizia ad ascoltare la sua femminilità; l’arsura è climatica ed è metafora; nella calura di un giorno di piena estate, in Mariella sboccia il desiderio, prende piede la consapevolezza dell’esistenza del piacere. E qui è eccezionale il lavoro lessicale cui si accennava. I sistemi di immagine che si ripetono, perfetti nello spazio contratto del racconto con cui l’autrice trasferisce in modo magistrale il nascere dell’attrazione, sono nel succo di una pesca, nel caldo estivo che si fa rovente via, via che cresce “la smania nel sangue”. Qui, de Céspedes rivive la passione della nascita di un amore che “dopo, l’abitudine leviga”.
Le novelle di L’anima degli altri solo apparentemente sono tranquillizzanti storie di vita. Ad esempio, le storie che raccontano la vita coniugale sembrano storie a tinte pastello tipiche di una compiacente letteratura femminile, invece è altissima la simbologia, l’ironia sottile, la parodia del “sistema femminile”. Perfino la punteggiatura rivela le vere intenzioni di de Céspedes quando ricorre ai puntini di sospensione che enfatizzano pensieri e affermazioni, suggerendo l’opportunità di una riflessione e un non detto, un non dicibile per l’epoca. La donna quindi, seppur destinata a rimanere in una campana di vetro, è il vero perno della società, è tutt’altro che ancella, è materfamilias per de Céspedes.
L’uso di vezzeggiativi, diminutivi, sostantivi dal tenore pargoleggiante, rivelano, se letti alla luce della sua stessa storia di vita e della letteratura che produrrà in seguito, la ridicolizzazione del concetto di vita matrimoniale e di considerazione del ruolo della donna come angelo del focolare.
L’idea di fondo della scrittrice è rivoluzionaria. La donna è capace di cambiare vita, di cambiare idea anche su se stessa, incline all’evoluzione, si oppone a un modello maschile incapace di accettare anche solo l’idea di un mutamento nell’immagine femminile. L’uomo è fermo, ripiegato su stesso. Basti pensare a il racconto Il dubbio: tra le pagine di una descrizione magnifica di Roma, de Céspedes racconta la storia di un uomo bloccato dall’idea che sua moglie non sia in realtà quella che ha sempre creduto che fosse. Perché gli uomini di questa raccolta faticano a staccarsi dall’ideale imposto di donna sottomessa e rinunciano a guardarla davvero negli occhi, riconoscendola perciò che è: un individuo a sé stante. In Disincanto, la storia di Luciana e Renato, questa contraddizione irrisolta è più che mai evidente. L’ossessione dell’ideale è insormontabile e quando è la realtà a prevalere sull’immaginazione, questa distrugge inesorabilmente l’incanto e si mostra non all’altezza.
Uomini che considerano le donne come merce esposta in realtà rurali dove il folklore locale, il Colore locale del titolo, è dato dalle donne che accolgono i clienti in una trattoria. De Céspedes quindi affronta il tema della visione della donna anche nell’ottica della differenza tra realtà provinciale e realtà cittadina.
Qui, si mostra l’unicità dell’autrice nell’aver una voce moderna e uno sguardo rimasto impermeabile al coinvolgimento della vita contemporanea raccontata. Lei è dentro il racconto, ma il suo sguardo è già lontano, volto all’indietro o, se si vuole, è già nel futuro da cui riesce a colorare bene il ritratto di un mondo che non esisterà più con le sue debolezze e i suoi punti di forza, senza mai tingere le sue parole di malinconico rammarico. Perché de Céspedes evoca la sensazione del fluire inafferrabile del tempo e dell’inesorabilità del cambiamento. Un racconto che lascia un’impronta particolarmente vivida nel lettore.
Ma de Céspedes scava anche nella insidiosa incapacità delle donne di difendersi dalla debolezza dell’amore. La scrittrice evidenzia questa spina nel fianco del coraggio e della determinazione femminile, come la vera ragione che porta la donna a rimanere un passo indietro rispetto all’uomo, sia che si tratti di un compagno o di un figlio. Il racconto La sua strada è esemplare di questa crepa, narrando il rapporto tra madre italiana e prole maschile, che noi donne ancora replichiamo a distanza di quasi 90 anni. La debolezza tutta femminile di accontentarsi di passare da amanti figure di sostegno, pur di non accettare la fine di una relazione. Donne come porti sicuri in cui approdare, a prescindere dai loro sentimenti sempre trascurati, donne che accettano di diventare Il rifugio, come l’omonimo racconto della raccolta.
È interessante vedere come i personaggi femminili non si misurano solo con gli uomini, ma anche tra di loro. Madri con figlie, suocere con nuore, sorelle o, addirittura, sé stesse, che si rifrangono nella loro stessa immagine, come in Nudo dell’Ottocento, in cui si confrontano e convergono nella stessa donna due modelli diversi in due tempi storici diversi. Confronto che rivela una differenza inaspettata. Le donne si misurano con il pregiudizio di cui sono vittime, come in Serenità, dove il focus è il giudizio sull’apparenza che quando riguarda una donna è più insidioso, cattivo; quel concetto di bellezza che, per l’universo femminile, è da sempre croce e delizia.
Verso la fine della raccolta si trovano i racconti che, più degli altri, racchiudono tutto quello che a mio avviso sarà il pensiero e l’attività di de Céspedes. La casa sul laghetto azzurro è emblematico della critica alla condizione della donna futuro campo di battaglia della scrittrice. Nel racconto il tono è lezioso, esagerato, al limite dello stucchevole. Il fatto che la scrittrice fosse devota a una ricerca lessicale minuziosa scongiura l’idea che volesse usare questo “stile delizioso” in modo rassicurante, bensì usarlo come strumento per dire altro, sfuggendo anche al pericolo della censura, che pure colpì altre sue opere. Diversamente, ci troveremmo di fronte a una manifestazione lessicale parossistica non congrua con il profilo della scrittrice. È quindi facile intravedere, nella lingua usata in questo racconto, la parodia dell’angelo del focolare, la critica alla vile ferocia maschile di appellare una donna con un richiamo sonoro e un nomignolo come fosse un ubbidiente cagnolino, senza un’identità propria. Una potenza straordinaria le immagini che de Céspedes usa in questa novella. E anche qui un uso lessicale chirurgico che per ogni singolo aggettivo, usato per lo più nella forma del diminutivo, esalta la realtà di sottomissione femminile. La donna è “bimba”, “piccola”, un’entità diminuita da proteggere, da accudire, privata du uno spessore, di una propria personalità, solo funzionale a famiglia e marito.
Il pregio di questa riedizione è indiscusso, dunque, e ci auguriamo che porti non solo a un nuovo riconoscimento artistico della sua autrice, ma anche a una nuova analisi e rivalutazione, più complete, dell’attività intellettuale a tutto tondo di Alba de Céspedes.
L’anima degli altri è sicuramente un viatico essenziale nella comprensione di de Céspedes, perché permette di risalire alle origini della sua poetica e di godere di un uso della lingua italiana di straordinaria modernità e attualità che risuona come il vento in un cristallo.
Alba de Céspedes e l’oblio nella letteratura del Novecento
La lettura di questo libro non può prescindere dalla storia personale dell’autrice, sia sotto il profilo personale (matrimoniale) sia sotto il profilo sociale e politico, e non può prescindere dall’ottima prefazione al libro di una tra le scrittrici contemporanee più eclettiche, illuminate, creative quale è Loredana Lipperini.
Dal canto mio, nell’accingermi a scrivere questa riflessione-recensione sul libro di Alba De Céspedes, L’anima degli altri mi sono tornate alla mente le parole di Rosi Braidotti, scritte nel suo lavoro Soggetti nomadi:
“Riscattare tutto ciò che le donne hanno dato alla vita intellettuale, malgrado la bellicosa opposizione delle istituzioni dominanti”, e “salvare dal passato ciò che ci occorre per tracciare percorsi di mutamento della vita, qui ed ora”.
Credo che questa riflessione, inserita nel lavoro che parlava di donne e potere femminile attraverso gli scatti di cinque donne fotografe, si addice bene al caso di Alba de Céspedes che, assieme a molte altre scrittrici del Novecento italiano, è precipitata al margine e depennata dalle antologie letterarie arrivate fino ai giorni nostri. In buona parte, di queste scrittrici permane segregato anche il ricordo, dopo essere state sottostimate (talvolta in modo scientifico) e mai (drammaticamente) inserite a pieno titolo tra i protagonisti della storia letteraria italiana del Novecento.
Eccetto i casi di Grazia Deledda, ineludibile premio Nobel per la letteratura nel 1927, ed Elsa Morante, quale prima donna a vincere, trent’anni dopo, il Premio Strega nel 1957, non ci sono presenze femminili nelle nostre antologie e tra gli scaffali delle librerie sono poche le scrittrici del secolo scorso. Non era certo una questione di esistenza, sappiamo che la rappresentanza letteraria femminile era nutrita, ma ragioni socioculturali, quale portato delle condizioni politiche italiane che hanno caratterizzato il Novecento, hanno avuto pesanti ricadute anche nell’ambiente letterario.
Alba de Céspedes è una donna di spicco nel panorama letterario del Novecento italiano eppure è scivolata nel dimenticatoio, come tutte le altre scrittrici che, pure, si occupavano di temi in evoluzione nei campi più diversi: cinema, femminismo, legalità, educazione. Nel Novecento dunque c’erano donne che scrivevano, che studiavano le altre donne, che traducevano i più importanti scrittori stranieri da Dostojevski a Somerset Maugham fino a Poe, Cervantes, Tolstoj, Byron. È dunque anche a queste letterate che dobbiamo la conoscenza di autrici e autori stranieri, ma anche e soprattutto il processo di alfabetizzazione generale del nostro paese, perché vi parteciparono in modo consistente.
Notevole è l’impulso femminile anche nell’ambito delle riviste letterarie che affiorarono nel primo Novecento tra le quali spicca l’esperienza di “Mercurio” di cui de Céspedes fu ideatrice e direttrice. La rivista è a tutt’oggi considerata l’esperienza letteraria più significativa e libera in cui si è tradotto il dibattito politico e l’analisi del clima socio culturale dell’Italia a cavallo della Liberazione, eppure anche questa, quasi a eguagliare le sorti della sua fondatrice, scompare dal mirino della storia letteraria a differenza di altre riviste dirette da colleghi uomini con contenuti meno vivaci o innovatori.
“Mercurio” è creata da de Céspedes dopo il ritorno a Roma, terminata l’esperienza a Bari, dove aveva partecipato alle trasmissioni antifasciste e partigiane della radio degli alleati, “Italia Combatte”. La rivista ospita da subito i nomi più eccellenti tra gli intellettuali antifascisti. Si parla, tra gli altri, di autrici, autori, pensatori e teorici del calibro di Sforza, Moravia, Corrado Alvaro, Sibilla Aleramo, Anna Banti, Natalia Ginzburg, Montale, Paola Masino, Elio Vittorini, ma anche alcuni tra i principali scrittori stranieri oppositori del regime fascista come Sartre, Hemingway. In pochi sanno e ricordano poi che inizia a scrivere proprio sulla rivista “Mercurio”, anche un imberbe Andrea Camilleri.
La rivista, fiorente e ricca di spunti e vivacità intellettuale, intercetta, grazie all’estro e all’intensa attività di Alba de Céspedes, il fermento dell’epoca, ospitando le bozze di opere che saranno futuri capolavori italiani come Il generale della Rovere di Indro Montanelli e La ciociara di Moravia.
È sempre intorno a de Céspedes che, nei primi anni Quaranta, in una Roma liberata dai tedeschi, alcuni tra i nomi più lucenti della letteratura italiana che in primis collaboravano alla sua rivista, formano quel nucleo denominato Gli amici della domenica che istituirà il Premio Strega, in una delle tante riunioni la domenica pomeriggio in casa Bellonci.
Nell’insieme è quindi davvero inspiegabile che una punta di diamante di questa caratura intellettuale sia orfana di ristampe dei suoi lavori e siamo doppiamente grati a Cliquot per averci donato la possibilità di leggere la prima opera di questa autrice così eclettica e così importante per la nostra storia culturale tout court.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’anima degli altri
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