Le isole di Norman
- Autore: Veronica Galletta
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2020
Vincitore del Premio Campiello Opera Prima, Le isole di Norman di Veronica Galletta (Italo Svevo, 2020) racconta una storia fatta di incomunicabilità e non detti, custode del continuo tentativo di sviscerare i silenzi e il passato per decifrarli. Le sue pagine intonse, un po’ reticenti un po’ misteriose, ruotano attorno a pochi punti saldi: Elena si è appena iscritta a geologia (la consolano le pagine di elenchi, il sapere come cosa certa, maneggiabile, predefinita); da piccola una pentola rossa d’acqua bollente le si è rovesciata addosso, lasciandole delle cicatrici (dei cheloidi) che ne costellano il corpo; suo padre Michele è un diabetico ex militante di Partito, mentre Clara, sua madre, è una donna bella e malata, che da cinque anni vive chiusa in camera spostando pile di libri da una zona all’altra della stanza, finché un giorno all’improvviso sceglie di sparire. Con i genitori Elena ha un rapporto d’affetto silenzioso, in cui a mancata domanda corrisponde mancata risposta: è stato davvero un incidente quello che le ha causato le ustioni? Perché sua madre li ha abbandonati?
Il tentativo di decifrazione del mondo di Elena è un tentativo ossessivo, guidato dallo schema e mai dal confronto. Mappare è la sua prerogativa: fin da piccola abile giocatrice di battaglia navale, la ragazza sceglie di tenere traccia degli spostamenti di libri che avvengono in camera della madre su uno schema quadrato di 12 caselle per 12. È un modo per studiarla con spirito oggettivo, per tentare di capirla (guarirla?), ma è anche un modo per instaurare con lei un legame di dipendenza che si farà ingestibile alla sua scomparsa.
Per "espellerla", esorcizzarla e, in fondo, ritrovarla, Elena decide di sovrapporre la mappa dell’isola alle centotré della stanza realizzate nel tempo: gli incroci indicheranno i punti in cui andare ad abbandonare i libri della donna. A questo punto dovrebbe partire una missione compiuta con regolarità, progettata per svilupparsi nel corso di un anno intero, che ben presto si incaglia, perché Elena sopravvive, incontra, cresce, ritrova. Il suo piano si rivela un moto di conoscenza e di maturazione, che si articola prima nell’eiezione e nel confronto con l’altro (sia esso il dolore, il ricordo − spesso veicolati per via alimentare −, un gatto o un ragazzo dai denti sporgenti), poi nel successivo rientro in sé.
"Elena cerca di rimettere in ordine le cose che ha detto e quelle che ha sentito, ma non le riesce. Le vagano in testa, sconnesse. Perché a vivere ovattati dentro a un’Isola, soffocati dai propri pensieri, si finisce per non afferrare più niente degli altri".
I due ponti che legano Ortigia alla città, e che chiunque è costretto ad attraversare di malavoglia per curarsi o studiare, sono le braccia e le parole tese dai personaggi che la ragazza incontra sul suo cammino. La protagonista, di fatto, non è mai sola, eppure l’isola e l’isolamento sono le spinte propulsive da cui parte e attorno a cui ruota la trama del romanzo. Isola è Ortigia (che "non è sempre stata un’isola"), isole sono le cicatrici che Elena ha sulle gambe e sulla schiena, isola è la casa in cui vive con la propria famiglia, un vero e proprio microcosmo dotato di un suo clima, diverso da quello esterno.
Con il suo abbandono, la madre ha tradito l’isola nelle sue molteplici incarnazioni: ha lasciato le macchie sulle gambe della figlia, ha abbandonato la casa, potrebbe persino aver attraversato il mare tra Ortigia e la terra ferma, scegliendo così di valicare il confine tra vivi e morti − tra morti e vivi, se è vero che Ortigia in realtà è un "sepolcro". Eppure, è proprio questo passaggio ad aprire anche per Elena la possibilità di compiere all’inverso il proprio cammino, di risalire dai morti ai vivi, tornando ad appropriarsi delle strade, a uscire dalla casa in cui si sono tumulati e scavare nel proprio passato per liberarsene.
"Niente è rimasto dentro le sue mappe. Non c’è rimasta sua madre, non c’è rimasto suo padre, non c’è rimasta neanche lei. [...] Non è rimasto niente, di una famiglia senza passato che ha cercato di costruire qualcosa, anche solo un ricordo finto, una foto posticcia di una vita, come un fotomontaggio. Ma non è questo che fanno tutti?"
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