Le maschere del senso. Come inganniamo il tempo, la morte, lo stupore di esistere
- Autore: Roberto Caracci
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
“Fioriscono oggi, più di ieri, gli addomesticatori del senso, i mentori della coscienza teleologica, gli indicatori della strada. E rischiamo tutti di seguire il primo pseudo-Cristo che ci dice io sono la via, la verità, la vita. Dateci una fede, una verità, magari anche un Dio se è necessario, dicono i nani zaratustriani: immetteteci dentro una storia. Dentro la botte di un senso qualunque, anche chiodata ci va bene”.
Bello e potenzialmente disalienante, non è vero? La citazione si trova a p. 148 di “Le maschere del senso. Come inganniamo il tempo, la morte, lo stupore di esistere” (Moretti & Vitali, 2016) un saggio sul senso (presunto) della vita. Lo firma Roberto Caracci, con sguardo acuto quanto speculativamente divaricato tra filosofia e psicoanalisi. Un libro da assumere con il peso dovuto, perché la questione in campo, in fin dei conti, ci riguarda da vicino. Sul tema credo che Emmanuel Levinas sintetizzi con efficacia:
“L’essere e la realtà sono puro non senso, chi ha senso e dà senso è l’esistente” (p. 17)
In (altre) parole molto povere: siamo una specie affacciata sull’abisso del Nulla, e la cosa certo non può farci piacere. Il nostro cervello non fa altro che ricorrere a continui espedienti (rimozioni e/o edulcoranti) per respingere/addolcire la pillola. L’assegnazione di sensi intrinseci all’esistere (le maschere di senso di cui scrive Roberto Caracci) andrebbe, insomma, ricondotta alla lotta senza quartiere ingaggiata con il Tempo, come occultamento inconscio della fatalità della morte, del Niente che, in ultimo, ci attende. Il sottotitolo di "Maschere di senso" adombra persino un inganno attuato nei confronti, certo, del nostro smarrimento esistenziale ma, in primo luogo, del nostro heideggeriano esser-ci per la morte. Temeraria, contro-tendente e dai significati amplissimi, la disamina condotta da Caracci svela come ogni esorcismo, ogni scopo qualsiasi, ogni ottundimento, ogni divertimento idiota, ogni amnesia artificiale altro non sia che un tentativo di respingimento dell’angoscia che ci deriva dal sapere in partenza la fine che ci attende. Il saggio è fitto di rimandi trasversali e le tesi di Caracci non fanno sconti: con uno stile puntuto, che va dritto al sodo, racconta le cose come stanno, soprattutto dal loro lato brutto:
“Se il Senso, questo inumano miraggio potesse scegliere la propria reincarnazione materiale - scrive a p. 263 - sceglierebbe probabilmente la ceneri, quelle che sopravvivono all’anima e al corpo, e che non amano la terra in cui ricadere, ma il vento tempestoso sulle schiume del mare. Le ceneri leggere, lasciate a se stesse nella più divina libertà, come sola gloriosa certezza dell’immortalità dell’uomo e della sua domanda di senso”.
C’è Il naufragio della speranza di Caspar David Friedrich ad illustrare la copertina di questo libro. Non si tratta di un caso, semmai di apoditticità.
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