Fra tutte le commedie greche giunte fino ai giorni nostri, Le rane è senz’altro una delle più ricordate, non fosse altro che per il curioso titolo che, in tempi recenti, ha ispirato anche una canzone dei Baustelle. In realtà, il vero valore di questa commedia sta nel rappresentare in qualche modo un piccolo trattato di come un’opera teatrale dovesse essere concepita, almeno secondo il punto di vista di Aristofane.Il centro della rappresentazione è infatti una contesa fra due tragediografi ormai passati a miglior vita, Euripide ed Eschilo, che il dio Dioniso incontra durante una sua incursione nell’Ade. Il litigio fra i due dà ad Aristofane l’occasione per esprimere il proprio pensiero riguardo alla scrittura teatrale, ma anche per ribadire pubblicamente la propria preferenza.
Non è, infatti, un mistero che Aristofane non provasse alcuna simpatia per Euripide, e, anzi, ne contestasse l’opera e la scrittura. Ne è prova tangibile una sua commedia di qualche anno antecedente, La festa delle donne, nella quale il malcapitato tragediografo viene pubblicamente infamato da una folla di donne inferocite che lo accusano di sobillare i loro mariti contro di loro e distruggere la pace familiare limitando la loro libertà. Non esattamente un’egregia figura per Euripide, costretto a una sequela di esilaranti travestimenti per tentare di salvare la situazione, e, infine, a promettere alle donne di tenere la bocca un po’ più chiusa e smettere di criticarle.
In questo caso la trama, invero molto esile, è solo un pretesto per continuare a bacchettare il malcapitato Euripide, a favore di Eschilo, che gode di più alta stima presso Aristofane. È il dio Dioniso che decide, vista la scarsa qualità dei tragediografi rimasti in vita, di compiere un viaggio nell’aldilà per riportare in vita Euripide e permettergli così di salvare il teatro. Dioniso si fa accompagnare dallo sveglio e un po’ impertinente servo Xantia, sempre disposto a scambiare i panni con quelli del padrone quando ce ne sia bisogno, creando ovviamente buffi equivoci che si risolvono sempre a favore del servo.
È durante il viaggio, attraversando l’Acheronte, che Dioniso viene infastidito dal canto delle rane-cigno, in realtà melodioso, che inneggiano a lui senza riconoscerlo: episodio che dà il titolo alla commedia. Una volta arrivato davanti a Euripide, Dioniso lo trova intento a litigare con Eschilo per il titolo di miglior tragediografo di tutti i tempi. Viene allora indetta una gara, della quale Dioniso viene nominato giudice. Niente di inusuale: nell’antica Grecia, le tragedie e le commedie erano regolarmente oggetto di gare, dette agoni, e la stessa Le rane, alla sua prima rappresentazione, risultò vincitrice di uno di tali agoni. Euripide ed Eschilo si sfidano invece non con opere intere, ma a colpi di citazioni. Con un paragone un poco irriverente, potremmo avvicinare la loro gara a un duello fra rapper, arrabbiato e incalzante, con Dioniso nel mezzo che, pur trovandosi a simpatizzare sempre di più per Eschilo, non si risolve ad abbandonare l’idea di riportare in vita Euripide. Dopo avere sviscerato vari argomenti, fra cui la domanda se la rappresentazione del male sia educativa o debba essere evitata, ci si risolve a pesare i versi di entrambi su di una vera bilancia, ed è Eschilo che ha la meglio. Infine, la sua risposta più sensata sul come salvare Atene convince Dioniso a cambiare idea e a riportare lui nel mondo dei vivi.
Chi è a digiuno di teatro greco potrebbe stupirsi per certe scurrilità presenti soprattutto all’inizio, nel dialogo fra Dioniso e Xantia, ma tali facili mezzi per provocare il riso non sono certo rari nelle commedie dell’epoca. D’altro canto, il testo è anche pieno di riferimenti alla situazione di Atene, che stava uscendo dalla guerra del Peloponneso per andare incontro all’incertezza, e proprio questa è la chiave di lettura della voglia di riportare in vita i tragediografi del passato, espressione di un mondo che si sta sfaldando.
Sicuramente consigliabile questa edizione della BUR, tradotta da Guido Paduano, che riporta il testo greco a fronte ed è corredata, oltre che da un’esauriente introduzione dello stesso Paduano, da dettagliate e interessanti note di Alessandro Grilli.
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E’ un classico, dovrebbe quindi fare parte del bagaglio culturale di tutti. In particolare, ovviamente, di chi si occupa di teatro in ogni forma.
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le rane
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