Le stagioni non esistono, secondo Eugenio Montale, sono solo degli attimi di mutamento. In questa splendida poesia, contenuta nella sua raccolta più metafisica Satura (1971), il poeta riflette sulla concezione, in fondo tutta umana, del tempo che noi percepiamo come qualcosa di astratto e tuttavia misurabile. La nostra coscienza in verità, osserva Montale nella sua riflessione in versi, vive nell’intemporaneo, proprio là, nel luogo dove esistono le emozioni e i sogni.
Il poeta procede quindi a smontare la concezione comune di “quattro stagioni”, descrivendole una a una nelle sue caratteristiche più proprie sino a dimostrare che ciascuna non è che un attimo di transizione, di mutamento nella grande e intricata trama della vita umana. Il ciclo della natura si ripete sempre uguale, a differenza di quello dell’uomo, ragione per cui l’autore ribadisce che il suo “sogno è altrove”, separato dalla ripetizione eterna del tempo. Eugenio Montale opera questa singolare scissione tra il tempo della vita e il ciclo delle stagioni che appare ancora più evidente nell’autunno, la stagione per eccellenza del mutamento, della transizione che possiamo osservare concretamente nelle tinte cangianti delle foglie, nel loro lento cadere dai rami.
La poesia Le stagioni è tratta dalla raccolta Satura (1971), contenuta nella parte finale denominata Satura II che contiene i componimenti più miscellanei di Montale in cui il poeta passa al vaglio vari registri da quello satirico a quello riflessivo, dal dubbio alla ragione. In latino l’espressione “Satura” indica il piatto ricolmo di vari frutti offerti agli Dei, la cosiddetta lanx satura indicava un “piatto pieno”, dunque un miscuglio, una mescolanza, una contaminazione.
Recensione del libro
Satura
di Eugenio Montale
In questi componimenti Montale introduce il tema del tempo, da lui concepito come indifferente ai fatti umani.
Ne Le stagioni il poeta giunge a tematizzare questo pensiero, sino a comporre la perfetta definizione di “intemporaneità” che costituisce il vero tempo della vita.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Le stagioni” di Eugenio Montale: testo
Il mio sogno non è nelle quattro stagioni.
Non nell’inverno
che spinge accanto a stanchi termosifoni
e spruzza di ghiaccioli i capelli già grigi.
e non nei falò accesi, nelle periferie
dalle pandemie erranti, non nel fumo
d’averno che lambisce i cornicioni
e neppure nell’albero di Natale
che sopravvive, forse, solo nelle prigioni.Il mio sogno non è nella primavera
L’età di cui ci parlano antichi tabulari,
e non nelle ramaglie che stentano a mettere piume,
e non nel tinnulo strido della marmotta
quando s’affaccia dal suo buco,
e neanche nello schiudersi delle osterie e dei crotti
nell’illusione che ormai più non piova
o pioverà forse altrove, chissà dove.Il mio sogno non è nell’estate
nevrotica di falsi miraggi e lunazioni
di malaugurio, non nel reticolato
del tramaglio squarciato dai delfini,
non nei barbagli afosi dei suoi mattini,
e non nelle subacquee peregrinazioni
di chi affonda con sé e col suo passato.Il mio sogno non è nell’autunno
fumicoso, avvinato, rinvenibile
solo nei calendari o nelle fiere
dei barbanera, non nelle sue nere
fulminee sere, nelle processioni
vendemmiali o liturgiche, non nel grido dei pavoni
nel giro dei frantoi, nell’intasarsi
della larva e del ghiro.Il mio sogno non sorge mai dal grembo
delle stagioni, ma nell’intemporaneo
che vive dove muoiono le ragioni
e Dio sa s’era tempo; o s’era inutile.
“Le stagioni” di Eugenio Montale: analisi e commento
In questa poesia Montale osa sfidare il mistero del tempo. Cos’è il tempo?, l’interrogativo non viene mai espresso se non nel finale, in cui l’ardua risposta viene delegata a Dio: “e Dio sa s’era tempo: o s’era inutile”.
Eugenio Montale ci sta dicendo che le stagioni non esistono, non sono altro che attimi di mutamento cui l’uomo ha voluto dare un nome per poter circoscrivere l’ampio raggio della vita, eppure ce le descrive in tutta la loro pittoresca varietà.
Inverno, primavera, estate e infine l’autunno che in questi versi appare come la stagione della transitorietà per eccellenza.
Nei versi di Montale l’autunno è un tempo incerto, indefinibile; singolari gli aggettivi che il poeta usa per descriverlo “fumicoso e avvinato”, come se parlasse di un uomo seduto a una locanda che beve e fuma, mentre in realtà vuole evocare le botti grasse di vino della vendemmia e i cieli velati dalle prime nebbie. L’autunno è la stagione più sfumata evanescente e, al contempo, ciò che più somiglia al sogno del poeta che rifiuta di sottomettersi al giogo del tempo fatto di misure e di ragioni.
Le stagioni, si ripetono sempre uguali e dunque sfiorano l’eterno, vanno oltre il tempo; mentre l’uomo è fatto di materia, ha un corpo usurabile, soggetto alla vecchiaia, al mutamento e alla morte. Per questo motivo ogni stagione dell’anno viene descritta attraverso una negazione anaforica e ripetuta “non è, non è”, scrive Montale, perché sente che la sua vita non appartiene davvero a quel tempo, alla costante illusione della ripetizione. In questa visione forse l’autunno è la stagione che meglio rappresenta l’umano, perché la più incerta “rinvenibile solo nei calendari” e nei riti umani delle processioni serali.
La lirica pittoresca e riflessiva di Montale, capace di unire le pennellate di un pittore a un’intensità quasi metafisica, ricorda una bella canzone di Francesco Guccini, La canzone dei dodici mesi. Rievocando tutti i mesi dell’anno, il cantautore ripete sempre l’identico ritornello:
O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia
Diverso tutti gli anni, e tutti gli anni uguale
La mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare
Nel canto di Guccini l’autunno è fatto di mosto ed ebbrezza e richiama quell’atmosfera avvinata evocata dal poeta ligure. Eppure entrambi evocano nei loro versi lo stesso sentimento del tempo che scorre: una ripetizione che, dopotutto, non appartiene all’umano. Le stagioni scorrono indifferenti al tempo della vita, all’uomo che non sa governare le oscure leggi del destino e tenta di giocare le sue carte, muovendosi tra dubbi, sogni e illusioni. “Il mio sogno”, diceva Montale “non è nelle quattro stagioni”.
L’esistenza umana, dopotutto, è così grande che la concezione del tempo lineare e del tempo ciclico della natura non la possono contenere. La vita umana comprende passato, presente e futuro nello stesso folgorante istante; questo Montale l’aveva inteso e, negando l’esistenza delle stagioni, intendeva dimostrarlo come una delle sue teorie poetiche che sfumano in ipotesi. Ogni stagione in sé racchiude un mutamento, in fondo, e un’evoluzione implicita, proprio come la vita stessa.
Se dovessimo rappresentare l’esistenza umana sarebbe come un grande albero che al contempo fiorisce e sfiorisce, rinasce al sole e si spoglia nell’inverno. L’anima del poeta - e in fondo anche la nostra - è raffigurata nell’immagine di questo grande albero della vita, in un “sogno” non ancora concluso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Le stagioni” di Eugenio Montale: una poesia sul mutamento
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