Legami feroci
- Autore: Vivian Gornick
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2016
In Legami feroci, memoir pubblicato per la prima volta nel 1987 e più volte ripubblicato (l’edizione italiana, di Bompiani, trad. di Elena Dal Pra, è del 2016), Vivian Gornick racconta con lucidità la relazione intensa, spietata e irrinunciabile che la lega alla madre. I ricordi fluiscono durante le conversazioni fra le due donne (la madre ormai anziana e la figlia giunta alla piena maturità) mentre si muovono per le strade di New York: sono i ricordi di un’infanzia, un’adolescenza e una prima giovinezza trascorse in allegra povertà nel Bronx, in un condominio abitato da altre famiglie di immigrati ebrei, e di una moltitudine di personaggi ‒ soprattutto femminili, ma non solo ‒ che affrontano la difficile vita di chi non ha mezzi economici né istruzione con astuzia, inventiva, coraggio. I ricordi di una donna che da quel condominio nel Bronx ha fatto tanta strada.
Vivian Gornick, femminista, critica e saggista, scrive Legami feroci quando ormai è una cinquantenne. Raccontando la sua infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza, le fasi successive attraverso l’espediente narrativo delle chiacchierate con la madre, mentre insieme passeggiano per New York, l’autrice ricostruisce un universo colorato, popolato soprattutto da donne.
“Ho vissuto in quel condominio dai sei ai ventun anni. C’erano venti appartamenti, quattro per piano, e me lo ricordo come un edificio pieno di donne. Degli uomini quasi non ho memoria. Ce n’erano tantissimi, ovvio – mariti, fratelli, padri – ma io mi ricordo solo delle donne”.
Vivian, ormai più che adulta, ha tanta vita alle spalle, tante esperienze, sentimentali e professionali. Non vive più nel Bronx, prigioniera di una madre dalla personalità schiacciante, è una donna indipendente, che lavora, non è più povera. Ma quel feroce legame non si è spezzato. Anche se abitano a Manhattan, sono sempre lì, le due donne, una madre e una figlia, a specchiarsi l’una nell’altra, a cercare di prevalere l’una sull’altra.
“Siamo tutte e due meno interessate alla giustizia di una volta. Il nostro antagonismo non è più così accanito. Siamo sopravvissute alla nostra vita in comune, se non insieme almeno alla presenza una dell’altra, e tra di noi c’è un curioso cameratismo. Ma l’abitudine all’accusa e alla vendetta è dura a morire, e in questo periodo innerva la nostra conversazione di una vena di follia”.
Ciascuna a suo modo, per quello che consentivano i tempi, queste due donne hanno cercato di scegliersi la vita che volevano. Si amano, pur essendo critiche l’una nei confronti dell’altra. Potrebbero allontanarsi, vivere la loro relazione ‒ arrivate alla fase della vita in cui si trovano (piena maturità per una, vecchiaia avanzata per l’altra) ‒ in modo più distaccato, stabilire distanze e rituali periodici rassicuranti che non le costringano al continuo confrontarsi di cui non sanno fare a meno. Tanto che, a un certo punto, l’esausta madre chiede all’altrettanto esausta figlia:
“Perché sei ancora qui? Perché non esci dalla mia vita? Non sono certo io a fermarti”.
Ma i legami feroci non sono facili da sciogliere.
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