Lettera alla madre sulla felicità
- Autore: Alberto Bevilacqua
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
Alberto Bevilacqua (1934-2013) è stato un grande scrittore del ’900. È stato per diversi anni candidato al Nobel della letteratura. I suoi romanzi, oltre a vincere premi importanti (il Campiello, lo Strega, eccetera), vendevano molto.
Bevilacqua è stato anche regista, poeta e personaggio televisivo. Ha spesso fatto parlare di sé, volente o nolente. Anche nei suoi ultimi giorni la sua compagna dichiarò che lo scrittore era “prigioniero di una clinica privata”, dove non riceveva cure adeguate. Ma Alberto Bevilacqua va ricordato più per essere il narratore del Po, della sua Parma e più in generale della sua Emilia. Riesce sempre a emozionare, descrivendo le atmosfere suggestive e magiche della sua terra, gli umori e il temperamento sanguigno dei suoi corregionali.
È un vero peccato che su uno scrittore così bravo, autentico, originale come Bevilacqua a distanza di pochi anni dalla morte sia già sceso l’oblio. Invece non va dimenticato: della sua persona e delle sue opere va conservata la memoria.
Bevilacqua in una delle sue poesie giovanili scriveva:
Cara madre / io cerco un ventre / orgoglioso e umiliato / per morirci teneramente / come ci sono nato.
In questa lirica c’è tutto il rapporto intenso oltre che psicoanalitico con la madre. Amare per lo scrittore era ritornare nel ventre materno.
Non a caso tutta la sua narrativa è stata pervasa da erotismo e sensualità, seppure mai beceri, mai volgari. Anche Leopardi aveva scritto una piccola lettera alla madre. Quasimodo aveva scritto una lettera alla madre sotto forma di lirica.
Epicuro aveva scritto una lettera sulla felicità. Bertrand Russell aveva scritto un saggio, ovvero La conquista della felicità.
Bevilacqua, dal canto suo, riesce a unire armoniosamente i due temi: parlando del rapporto affettuoso con la madre, in questo libro non trattato da un punto di vista edipico, e allo stesso tempo della felicità.
Bevilacqua trae l’insegnamento di sua madre: per essere felici bisogna ritrovare l’ironia, bisogna coltivare il sorriso, lo stesso “sorriso alla vita” della Schiava turca del Parmigianino. Lo scrittore in questo libro compie una “catabasi”, una vera discesa agli inferi. Ripercorre tutte le accuse, le calunnie, le malignità di cui è stato oggetto.
È stato anche accusato di essere il “mostro di Firenze” da una calunniatrice patologica. Bevilacqua non fa i nomi perché significherebbe dare troppa importanza a certi suoi nemici squallidi, ma analizza l’odio, che contraddistingue questa società. Bevilacqua vola alto, non mettendosi sullo stesso piano dei suoi accusatori e scrivendo un libro che è più cose insieme: una confessione, un romanzo, una lunghissima lettera coinvolgente emotivamente.
Anche se non ne parla nel libro (ma bisogna tenere presenti queste cose) lo scrittore aveva dei nemici non solo nella società civile ma anche nel mondo delle patrie lettere: c’era chi non gli perdonava il grande successo di vendite, chi non gli perdonava la visibilità mediatica, chi ce l’aveva con lui per aver pubblicato La polvere sull’erba (in cui venivano descritte alcune malefatte dei partigiani in tempi di guerra), chi ce l’aveva con lui per aver scritto La califfa (romanzo in cui un’operaia aveva una storia d’amore trasgressiva con il padrone della sua fabbrica). Bevilacqua inoltre non faceva parte della Neoavanguardia, né era uno sperimentalista.
Certo qualcuno, a torto o a ragione, lo accusava di essere troppo presenzialista e in alcuni libri un poco commerciale, pur riconoscendone il grande talento e le grandi capacità intellettuali. Mi ricordo che una volta un mio amico libraio mi criticò perché gli chiesi un libro di Bevilacqua e mi disse che chi comprava i suoi libri non era un minimo intellettuale. Diciamo che il successo causa antipatie e alcuni avevano un atteggiamento idiosincratico nei confronti dello scrittore. Infine, secondo qualche critico letterario, Bevilacqua aveva addirittura un tratto di personalità paranoico.
Diciamo perciò che non era ben visto da tutti e aveva i suoi detrattori, ma in fondo fa parte del successo; c’è sempre qualcuno in questi casi che gioca sporco, c’è sempre qualcuno pronto ad azionare la macchina del fango per specularci, avere soldi e pubblicità. Non c’è da stupirsi naturalmente, visto e considerato la fine che ha fatto Pasolini.
Il libro è, a mio avviso, uno dei capolavori di Bevilacqua. Forse è il suo miglior libro, anche se ci sarebbe l’imbarazzo della scelta. È elegante stilisticamente, scritto in modo magistrale, ma anche catartico. Riesce a trattare una tematica difficile come quella della sofferenza psichica, argomento in cui è molto facile cadere nella banalità e nel già visto. La sofferenza è sia quella della madre, che era instabile psicologicamente e aveva subito l’orrore degli elettroshock, che quella del figlio scrittore, accusato, calunniato ingiustamente e ripetutamente.
Alla fine Bevilacqua ci dice che vince l’amore, pur tra mille ostacoli e mille difficoltà. Ma allo stesso tempo lo scrittore ci comunica che la vita è un impasto inenarrabile di dolore (inteso in tutti i sensi, anche esistenziale) e amore.
Un libro che, se si è un minimo empatici, si legge tutto d’un fiato e una pagina tira l’altra. È un libro significativo, importante, che può cambiare la vita.
Tra l’altro si può acquistare anche in edizione economica e ne vale veramente la pena perché Bevilacqua, in modo impareggiabile, parla con il cuore in mano di sé, di sua madre e del loro legame profondo, ma in realtà parla di tutti noi a tutti noi.
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