

Lettere dalla Kirghisia
- Autore: Silvano Agosti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2020
La Kirghisia è un paese nato per produrre vergogna in tutti i governanti occidentali, in tutti coloro che occupano un posto di potere. È un detonatore di vergogna, in quanto la Kirghisia è un paese organizzato sul buon senso, quindi nessuno lavora più di tre ore al giorno. In occidente, le persone sono condannate al lavoro, è un ergastolo, nessuno può amare ciò che fa.
Con queste parole Silvano Agosti – regista, saggista, poeta, scrittore, filosofo – presenta la terra presente nel titolo del suo Lettere dalla Kirghisia (Mondadori, 2020), un piccolo stato, forse immaginario, sperduto nel cuore dell’Asia. L’autore, in una serie di dieci lettere, racconta ai lettori il suo viaggio in questo Paese alternativo, in cui la società è organizzata in modo diametralmente opposto a quella occidentale, una società
a favore degli esseri umani e non dei gruppi di potere.
Tutti gli abitanti della Kirghisia, in ogni settore pubblico e privato, non lavorano più di tre ore al giorno, a pieno stipendio. Le restanti ore della giornata vengono dedicate a vivere: il sonno, il cibo, la creatività, l’amore, la vita, sé stessi, i propri figli, gli altri. In questo modo la produttività si è addirittura triplicata, perché una persona felice è in grado di produrre, in un giorno, più di quanto un uomo frustrato riesce a produrre in una settimana. In occidente, invece, le persone vivono per lavorare anziché lavorare per vivere. Come ci dice Agosti:
Questo meccanismo delle otto ore di lavoro ogni giorno produce da sempre tensioni sociali, nevrosi, depressioni, malattie e soprattutto la sensazione precisa di perdere per sempre l’occasione della vita.
Appare significativo un breve dialogo fra l’autore/viaggiatore e le autorità del luogo:
«Da dove vieni, amico?»
«Dall’Italia.»
«E come si svolge da voi la vita?»
«Non è vita, è forse solo esistenza. La gente lavora gran parte della giornata, poi guarda la televisione e se ne va in giro chiusa in macchina.»
«E quante ore lavorano in generale?»
«Da sei a otto ore al giorno. Qualche volta anche più.»
I consiglieri si guardarono stupiti e al sindaco sfugge la battuta. «Ma allora quando vivono?»
«La domenica e un po’ la sera» rispondo timidamente.
Una leggera e amichevole risata riempie la grande aula del consiglio.
Il sindaco si avvicina e mi stringe la mano.
L’interprete, rinfrancato, traduce.
«Perdoni la risata, ma qui da noi tutti lavorano tre ore al giorno e stiamo studiando il modo per ridurle a due».
In Kirghisia, la gestione dello stato è una forma di volontariato e si esprime in due governi: uno si occupa dell’amministrazione quotidiana della cosa pubblica, l’altro si dedica esclusivamente al miglioramento delle strutture. I bambini e i ragazzi, fino ai 18 anni, giocano tutto il giorno e non si trascinano svogliatamente come lumache verso la scuola. Nessuno studia, ma tutti imparano, seguendo il proprio naturale desiderio di conoscenza e la propria curiosità: i giovani sono preparati in tutti i campi e conoscono fino a cinque lingue, perché la conoscenza è libera scoperta, entusiasmo e tutti hanno a disposizione gli strumenti e le fonti per accedere a questa conoscenza. A tutti viene garantito non solo il necessario, ma anche il tempo per vivere.
La vita si svolge prevalentemente all’aperto, a contatto con gli altri; i cinema, i teatri, i musei e le altre attività culturali e ricreative sono gratuite per tutti. Tutti dispongono gratuitamente di una casa e dei mezzi per vivere dignitosamente e per realizzarsi. Gli anziani diventano ad honorem “maestri di vita” e hanno garantito un buon pasto gratuito al giorno. Le carceri sono state abolite: chi commette un crimine indossa un abito di colore diverso a seconda della colpa di cui si è macchiato ed è tenuto a spiegare agli altri le ragioni di ciò che ha fatto. Questo perché in Kirghisia la sola condanna possibile è la consapevolezza del delitto. Inoltre, ognuno è premiato o punito per ciò che è.
Se qualcuno ruba, è già punito dal fatto di essere ladro. Se qualcuno mente, è già punito dall’essere un bugiardo.
Gli ospedali sono pochissimi e semivuoti, tutti autogestiti dai malati, i medici non indossano il camice, ma sono vestiti solo della loro competenza. Ciò accade perché in una società costruita a misura d’uomo in pochi si ammalano e “non c’è migliore ospedale di un corpo felice”. Il principio fondamentale dello stato è l’autogestione a tutti i livelli, la Costituzione non è scritta, ma tutti la conoscono a memoria perché è brevissima, costituita da un solo articolo:
ARTICOLO UNICO: ogni progetto, ogni iniziativa vanno concepiti solo nell’interesse di tutti e mai di alcuni o di quasi tutti.
Anche l’amore è vissuto liberamente e senza inquietudini: chi ha voglia di fare l’amore lo segnala agli altri appuntandosi un piccolo fiore azzurro sul petto in modo che sia più agevole avviare il corteggiamento.
Il popolo della Kirghisia è un popolo pacifico, le armi sono state dapprima sostituite con pistole e fucili che sparavano proiettili capaci di addormentare, e poi bandite, perché ormai “le persone hanno imparato a rispettarsi, a trattarsi l’un l’altro come capolavori”. Invece di continuare a seppellire i morti per arma da fuoco, come si fa ogni giorno in altri Paesi, in Kirghisia hanno seppellito le armi, con riti analoghi a quelli della sepoltura dei defunti.
Ogni cittadino viene messo nelle condizioni ideali per realizzare gli otto bisogni e desideri naturali per ogni essere umano: saper dormire, saper mangiare, saper lavorare, saper imparare, saper dare, saper creare, saper amare e fare l’amore, saper vedere.
Tuttavia, precisa l’autore, non bisogna cadere nell’inganno di definire la Kirghisia un’utopia. Infatti, gran parte di ciò che ci circonda e appartiene alla nostra vita, “un tempo neppure tanto lontano veniva considerato un’utopia”. Dopotutto
il desiderio di una società diversa è ormai nel cuore di ognuno, forse anche di coloro che sembrano non volerla.
Insomma, una società diversa e alternativa è possibile, se solo tutti lo volessero davvero.
Ma dove si trova esattamente la Kirghisia? In effetti non esiste una sua rappresentazione geografica, o almeno non ancora,
perché la Kirghisia come U-topia non è un luogo, ma un sentimento. È dentro ognuno di noi e risuona negli animi di tutti coloro che immaginandola, scoprono che un mondo migliore è possibile.
Pubblicato per la prima volta nel 2004 e poi ristampato innumerevoli volte, Lettere dalla Kirghisia è un libro visionario e stimolante, che in pochissime pagine smaschera le contraddizioni della nostra società, immaginando un mondo che segue i bisogni naturali di ogni essere umano. È un mondo in cui il rapporto con l’altro è al centro di tutto e in cui ognuno è consapevole che il bene di tutti è il bene di ognuno e che il bene di ognuno è il bene di tutti. Sembra incredibile, eppure per realizzare la Kirghisia sarebbe sufficiente investire il venti per cento delle spese militari. Non è un’accusa, ma una riflessione semplice e allo stesso tempo rivoluzionaria, priva di ideologie, che ci invita a mettere in discussione ciò che ogni giorno siamo abituati a considerare normale.
Dopo questa lettura sono stato invaso da una irresistibile voglia di visitare questo Paese straordinario. È da qui che sto scrivendo questa recensione, cari amici. La giornata è giunta al termine, e in Kirghisia
la notte è un incanto che appartiene a tutti.
Vi abbraccio.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Lettere dalla Kirghisia
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