Lo spazio sfinito di Tommaso Pincio

Il 1956 è l’anno in cui Jack Kerouac viene mandato nello Spazio dalla Coca Cola Enterprise Inc. come controllore di orbite, occasione in cui per la durata di nove settimane si troverà faccia a faccia con il Vuoto. Nello stesso anno Marilyn Monroe verrà licenziata dal suo lavoro di commessa in libreria a causa della sua bocca troppo provocante e Neal Cassady, di lei perdutamente innamorato, inizierà una struggente storia d’amore telefonica con Norma Jean Mortenson, moglie triste e bellissima dello spietato Arthur Miller, ovvero dirigente capo della Coca Cola Enterprise.
Avete capito bene, non serve torniate indietro a rileggere le righe precedenti.

“Lo spazio sfinito” di Tommaso Pincio (Minimum Fax, 2010) è un romanzo struggente che si serve di personaggi del nostro immaginario collettivo per raccontare le storie di desiderio, amore, amicizia e solitudine che appartengono ad ognuno di noi. Tommaso Pincio ci regala una perla pregiata, un romanzo coraggioso e commovente sui limiti e sui bisogni degli esseri umani, sulle eterne domande che ci assillano dal momento in cui solleviamo le palpebre per la prima volta. Esiste il Vuoto? Possiamo fronteggiarlo una volta per tutte oppure ce lo portiamo dentro ovunque andiamo e quindi sarebbe meglio farci amicizia?
L’autore ci porta a spasso in uno Spazio privo di stelle, ma pieno di spaventosi mugolii. Ci fa entrare in una splendida casa costruita su una cascata che si rivela un inferno, ci mette in guardia sulle insidie della deriva che è sempre dietro l’angolo, ci riporta indietro agli anni in cui il telefono era fisso a casa e a quanto fossero angoscianti gli squilli a vuoto. Il viaggio, però, è breve e alla fine delle centosessanta pagine non rimane altro che l’invidia nei confronti di chi, questo romanzo, lo potrà leggere per la prima volta.

“È proprio lì, nel punto in cui le persone non si intendono, che può succedere di tutto. Meno ci si capisce, più libertà ti puoi prendere.”