Lo spregio di Alessandro Zaccuri

Alessandro Zaccuri scrive un breve romanzo, o meglio un lungo racconto, nel quale sono condensati e trasposti in modo letterariamente convincente alcuni temi sociali che il nostro tempo sta trasformando in veri e propri drammi della incomunicabilità fra mondi e culture che pur appartenendo alla stessa comunità nazionale, risultano sempre più lontani, in una crescente divaricazione fra nord e sud, fra legalità e delinquenza, fra padri e figli, in una parola tra bene e male.
L’autore ambienta il suo romanzo vicino al confine con la Svizzera, in una locanda gestita da Franco Morelli, detto il Moro, che insieme alla moglie Giustina e al figlio tredicenne Angelo, manda avanti da anni bar, ristorante, poche stanze per eventuali turisti.

Siamo nel 1993, e Angelo, che fa la terza media, è desideroso di crescere per aiutare il padre, con lui e con tutti severissimo e molto temuto: per ora si contenta di stare alla cassa, poi frequenterà l’Istituto Alberghiero e diventerà a sua volta il gestore dell’azienda familiare. Ma in uno scontro con un compagno di suola, viene insultato e deriso: suo padre, il Moro, aiuta i contrabbandieri e ospita nelle stanze a pagamento prostitute. Incredulo, Angelo indaga e si rende conto che purtroppo quella è la verità: finanzieri compiacenti e corrotti permettono un traffico di sigarette e superalcolici che vengono nascosti in una grotta dentro la proprietà del Moro, che su quello ha costruito la sua ormai acquisita solidità. Angelo dopo la cocente delusione decide che anche lui potrà servirsi di quei canali per fare strada; smette di studiare, e comincia una bella vita fatta di sigarette e liquori, sottratti alla grotta segreta del padre. Qualche anno dopo, nel 1999, arriva nella valle una famiglia di mafiosi siciliani in soggiorno obbligato al nord; si stabiliscono in una grande villa, Don Ciccio e i suoi numerosi figli, che dietro una parvenza di rispettabilità, cominciano ad esercitare un potere occulto: appalti, lavori, espansione sul territorio. Il figlio minore, Salvo, bel ragazzo apparentemente diverso dai fratelli, ostenta ricchezza e spende soldi per abbigliamento firmato, macchina potente, viaggi… Conosce Angelo, gli diventa amico, e i due ragazzi per mesi sono inseparabili, girando nel territorio, ostentando lussi che mai il figlio del Moro avrebbe sognato, conoscendo i migliori locali, ristoranti e alberghi, in Italia ( Roma, Venezia, Firenze, Torino, Milano) e una volta perfino a Duisburg in Germania. Angelo viene ricevuto addirittura nel segretissimo bunker di Don Ciccio, considerato alla stregua di un figlio, accolto in casa come uno di “loro”: ma i riti della Mafia sono sconosciuti e sottovalutati da Angelo, ingenuo e convinto di essere ormai intoccabile.

Nella seconda parte del racconto avviene l’irreparabile, e “Lo spregio” del titolo si consuma con una innominabile violenza, nascosta dietro la statua di un angelo. Alessandro Zaccuri ci accompagna pian piano fin dentro i contorti congegni che tengono insieme le famiglie mafiose, rivelandone l’assurdità e la crudeltà, i parametri inconcepibili che portano al delitto efferato in seguito a quello che è stato considerato uno “spregio”. Il contrabbando, le puttane, la corruzione dei finanzieri, tutto questo mondo di piccola illegalità impallidisce di fronte alla inusitata violenza della logica mafiosa. Un libro duro, difficile da leggere soprattutto nella parte conclusiva, che ci mostra ancora una volta un’Italia nella quale la cultura mafiosa sembra inaffondabile, capace come è di contaminare e di distruggere ogni altra logica esistenziale, ogni forma di amicizia, in una paradossale fedeltà a valori religiosi stranianti. Il Moro, padre severo e temuto in tutta la valle, dovrà umiliarsi e arrendersi per salvare suo figlio, e non ci riuscirà, consapevole di non essere riuscito a dirgli le parole che troppo tardi rivolgerà a sua moglie Giustina:

“Io gli ho sempre voluto bene a mio figlio. E lui lo sapeva. Anche se non glielo ho mai detto. Lui lo sapeva, che gli volevo bene”.