Lucio Piccolo. La figura e l’opera
- Autore: Natale Tedesco
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
La famiglia Piccolo della Calanovella da Palermo, nel 1933-34, si trasferisce a Capo d’Orlando, deliziosa cittadina del messinese che, tra mare e pendii boschivi evoca gesta paladine. Va ad abitare a tre chilometri dal paese in una villa in contrada Vina, situata su un poggio. All’orizzonte lo scenario delle Eolie accende l’immaginazione e i sensi partecipano a un godimento singolarmente estetico. Sembrano modellate e miticamente paiono zattere galleggianti sull’acqua. La visione dell’isola di Salina ammaliava Tomasi di Lampedusa, per parte di madre cugino dei proprietari e spesso da loro ospitato: quasi dialogava con lei, tanto che volle usarla come predicato nobiliare del suo protagonista, don Fabrizio Corbera principe di Salina.
La residenza signorile accoglieva le figure più prestigiose della cultura italiana e siciliana. Spartano l’arredamento tale da contrastare con la luminosità dell’ambiente esterno. La villa, un tempo abitata da Casimiro, da Lucio e dalla sorella Giovanna, è difatti esposta a una lussureggiante schiera di specie vegetali dal fascino lucreziano. Vi si può apprezzare un lungo pergolato di grappoli di glicini pendenti, i cui diversi colori formano un meraviglioso quadro di natura botanica vivente, mentre secolari ficus e pini secolari alimentano, si potrebbe dire, una dimensione pressoché estatica. È quella sinfonia di odori, di colori, di visioni che ha avvolto l’anima del poeta facendolo vibrare come un’arpa: tutto è surreale in quel giardino accondiscendente ai suoi versi.
Splendida la rievocazione di Vincenzo Consolo nel suo Le pietre di Pantalica (1988):
Alla casa dei Piccolo si arrivava per una ripida stradetta a giravolte, bordata di piante, iris, ortensie, che finiva in un grande spiazzo dove era la porta d’ingresso su una breve rampa di scale. Oltrepassata questa, ci si trovava subito nell’unica sala che per tanti anni conobbi.
Estroso e bizzarro Lucio. Estremamente colto, è poeta e musico. Credendo alla pari dignità fra tutti gli esseri animati (uomini ed animali), di notte evocava fantasmi: cercava di fotografare gli ectoplasmi dei suoi amatissimi cani sepolti alla loro morte in un angolo del giardino che fa da cimitero con lapidi su cui sono scolpiti i loro nomi. Un’immersione, la sua, nell’anima della natura: animismo e naturalismo le qualità di quella realtà bucolica in cui videro la luce le sue liriche. Anche, come si dice, alcune delle pagine del Gattopardo. Lucio è l’autore dei Canti Barocchi, di Gioco a nascondere, di Plumelia ed altre raccolte. Si deve soprattutto a Natale Tedesco il merito di averne parlato con acume critico nell’accurata e pregevole opera Lucio Piccolo – La figura e l’opera (Pungitopo, 1986). Dapprima c’era stato il rapporto con Eugenio Montale al quale il poeta aveva inviato nel 1954 9 liriche: uscivano in un libriccino “stampato da una sola parte del foglio e impresso in caratteri frusti e poco leggibili” dallo Stabilimento Tipografico Progresso di Sant’Agata. Saranno presentate dall’autore di Ossi di seppia al noto convegno di S. Pellegrino Terme del 1956 (16 luglio) e poi con una introduzione al volumetto. È Da Montale che comincia la lettura critica dell’opera di Lucio Piccolo e a Montale questi aveva scritto:
Nelle mie liriche e specie nel “gruppo dei canti barocchi” […] Era mia intenzione di rievocare e fissare un mondo siciliano, più propriamente, anzi, palermitano, che si trova adesso sulla soglia della propria scomparsa. Intendo parlare di quel mondo di chiese barocche, di vecchi conventi disusati, di anime adeguate a questi luoghi...
Strettamente tecnica l’indagine di Tedesco che puntualmente si sofferma a considerare ascendenze e connessioni a livello testuale e intertestuale. Il colloquio con la natura è onirico e nel contempo concreto, invano il poeta tenta di fermare l’immobile mutevolezza del creato: “La sua poesia è dunque memoria della terra, un sogno ancora caldo della vita, ma che vita non è più”.
In Lucio Piccolo – La figura e l’opera va sottolineata la documentazione che mette il lettore a stretto contatto con molti dei componimenti di Lucio Piccolo. Lo conclude, infatti, un’antologia delle opere, unitamente ad una nutrita bibliografia. La singolarità dei modi degli attacchi di montaliana memoria, il gioco di lussurie figurali, le tipiche interrogazioni metafisiche alla Guillén, i resti della Sicilia barocca che hanno educato l’occhio del poeta, nonché le ombre di un mondo evanescente con semantiche e stilemi crepuscolari sono appena alcuni aspetti evidenziati dallo studioso con disvelamenti sussurrati e fragranti.
Liriche suggestive a leggersi quelle segnalate: fanno amare la natura e gli stati d’animo evocati, espressi con una parola ricca di linfa quanto mai depurata da ogni sua scoria. In questo senso Piccolo ha fatto poesia, ascoltando il mistero della vita con la superiorità del distacco.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Lucio Piccolo. La figura e l’opera
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