Manna e miele, ferro e fuoco
- Autore: Giuseppina Torregrossa
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2011
Romanzo carnale e umoroso "Manna e miele, ferro e fuoco" (Mondadori, Milano, 2011), dove Giuseppina Torregrossa con una scrittura a tutto tondo apre lo sguardo sul tempo, rappresentando fatti ed eventi in un ampio affresco socio-storico che va dal dominio borbonico in Sicilia alla costituzione dei fasci siciliani. Aperto al connubio dell’immaginazione con la realtà, vi si avverte la presenza del fato, di matrice verghiana, come se la vicenda fosse stata già stabilita per essere poi vissuta. Paesaggio è il grande bosco di frassini nel territorio madonita che dà energia con i suoi forti profumi, mentre le cittadine di Ganci, di Cefalù e di Castelbuono fanno da cornice a una storia attorno a cui ruota sia il potente casato dei Ventimiglia, nobile famiglia d’origine medievale che spadroneggiava in buona parte dell’Isola, sia la modesta famiglia di Alfonso Gelardi che in fondo conduceva una vita da privilegiati in un contesto di povertà dilagante.
Nel corso della narrazione incisivi e rapidi pensieri dell’autrice fanno sostare e riflettere; avvolgente l’intreccio attorno al personaggio di Romilda, la piccola venuta alla luce dopo un’esperienza propiziatoria e quasi profetica, fortemente voluta da sua madre Maricchia. Il pellegrinaggio col quale lei intende ottenere la grazia d’una figlia femmina termina a Castelbuono nel palazzo dei Ventimiglia, dove si trova la sfarzosa cappella che accoglie il teschio di Sant’Anna. In esso si consumerà il destino di Romilda: per una serie di circostanze, ancora ragazzina, viene promessa e data poi come sposa a don Francesco barone di Ventimiglia, dispotico e insensibile alla comprensione dell’animo femminile.
I temi abbondano. Tante le microstorie che procedono segmentandosi, diramandosi dal nucleo centrale per confluirvi fluidamente come un giuoco d’incastro. Ciascun personaggio, che appare con la propria indole e con la propria vicenda di bene e di male, riesce a calamitare l’attenzione. “Mannaluoro” è Alfonso, cioè esperto nell’incidere i frassini, i “muddii”, e ricavarne “cannuoli” di manna; quasi sciamana la moglie che gli aveva portato in dote cinque arnie e perciò conoscitrice del linguaggio delle api.
Nell’ingenua ma armoniosa quotidianità impregnata d’una religiosità animistica e ritualistica in cui agisce forte il senso della tradizione, la figlia, tanto desiderata come femmina dopo tre figli maschi, instaura un dialogo d’amore con gli elementi della natura, tant’è che le api nere la proteggono con il loro ronzio. Romilda cresce serenamente con gli insegnamenti dei genitori, ma è la sorte malevola a farle incontrare la violenza del ferro e la prepotenza del fuoco. Angoscioso il rapporto con lo sposo. La sua dirompente femminilità viene frustrata da umiliazioni, da amplessi subiti e vissuti senza amore; il percorso si fa così accidentato al punto da farle rifiutare il ruolo di madre. Nell’epilogo la fase del suo risveglio si realizza come conquista d’una autentica identità nel ritorno alle origini segnato dalla riconciliazione con la propria famiglia, nonché dal richiamo prepotente dell’ambiente boschivo. E’ nell’incanto d’una sacralità naturalistica che si adempie il nuovo corso di emancipazione e di consapevolezza sottratte all’avidità dell’ “avere” rispetto alla generosità dell’ “essere”. In sintonia con il segreto alchemico della manna, il suo animo si libera dalla trappola d’un modo di vivere di passioni tradite e di ammalianti metamorfosi.
Manna e miele, ferro e fuoco
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