Mary e Clara. Una storia poco conosciuta sullo sfondo dell’anti-risorgimento
- Autore: Fabio Sciascia
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2019
Romanzo, fateci caso, ha la stessa radice di romantico. Uno è sostantivo, l’altro aggettivo, ma diventano tutt’uno in un lavoro uscito da poco e postumo, per i tipi D’Ettoris Editori di Crotone. Dal cassetto dove lo custodiva l’anziano autore, Mary e Clara. Una storia poco conosciuta sullo sfondo dell’anti-risorgimento è diventato una realtà. Fabio Sciascia, funzionario delle poste e avvocato civilista, è deceduto nel 2017, dopo aver toccato gli ottant’anni, soddisfatto d’aver completato la sua creatura, poi data alle stampe nel novembre 2019.
“Una storia poco conosciuta sullo sfondo dell’anti-risorgimento”, sottolineano i curatori dell’edizione nel sottotitolo, insistendo su due particolari: “storia” (non parlano di narrativa) e “anti-risorgimento” (non Risorgimento tout court).
Si tratta quindi di un’iniziativa editoriale più elaborata di un semplice prodotto narrativo.
Il buon operato dello scrittore non professionista modenese consente alla casa editrice calabrese di inserire un proprio titolo (di valore, questo è certo) nella corrente del revisionismo storico neoborbonico, in voga da qualche anno e che lamenta i guasti subiti dal
“povero Regno del Sud, paradiso in terra aggredito da quel brigante di Garibardo e poi travolto dagli accorrenti eserciti di un sovrano straniero opportunista, che parlava solo francese, il Savoia Vittorio Emanuele II”.
Ecco che un racconto epico, di sapore ottocentesco e che lega il presente a un secolo mezzo fa, diventa utile a veicolare la vulgata di un “Sud tradito, derubato, svenduto”.
Niente da dire sul romanzo dell’avv. Sciascia, di buona e colta fattura. Evoca sotto tanti aspetti la narrativa di un Walter Scott. Un neo, se vogliamo, è l’insistenza su personaggi manichei: i buoni sono solo buoni e di nobili sentimenti, i cattivi sono cattivi senza rimedio, portati al male dalla loro bieca natura. Così, il barone Gaetano Grimaldi, virtuoso e coraggioso ufficiale del re di Napoli, sembra un Ivanohe; la moglie Clara e la discendente Mary sono delle lady Rowena del nuovo millennio e il debole Francesco II di Borbone si eleva alla statura di un leggendario Riccardo Cuor di leone.
Una buona fiction narrativa storica, tanti sentimenti, tanti valori, tanta epica. Fin qui la ricetta di un romanzo di successo, tra l’altro spinto verso il lettore da una copertina bella come poche. Riproduce un particolare dei combattimenti tra Garibaldini e Borbonici a Santa Maria Capua Vetere, nel corso della battaglia del Volturno, il 2 ottobre 1860. L’immagine, coloratissima e movimentata, riprende l’affresco del veneto Giuseppe Vizzotto Alberti, conservato nel Museo della Torre di San Martino, sui luoghi della battaglia del 1859 nella frazione gardesana.
Il taglio della scena ritratta è coerente con la confezione storica del romanzo: una parte della storia per il tutto. Sul fronte, è proposta una sezione del dipinto che mostra esclusivamente le colonne borboniche. Solo in un angolo della quarta di copertina si notano alcune camicie rosse, mentre l’ingrandimento esclude i Garibaldini e i Bersaglieri bergamaschi che respingono i “napoletani”, all’Arco di Adriano, caratteristico della città del Casertano.
Una parte dell’affresco, quindi, come se fosse tutto l’affresco: questo fa il pari con la visione storica dichiaratamente anti-risorgimentale dell’autore, che guarda solo al campo dei fedeli del re, tutti buoni soldati combattivi, desiderosi non d’altro che di mostrare il proprio valore, tradito dai generali del sovrano borbone, che l’hanno abbandonato per corruzione o perché lo ritengono sconfitto.
Per Fabio Sciascia, i Garibaldini non erano altro che avventurieri sanguinari. I piemontesi? Un esercito invasore. I “napoletani”? Combattenti impavidi, come l’ufficiale e barone che sarà fucilato per aver rifiutato la resa della fortezza assediata a Civitella del Tronto. E poi anche popolani e contadini, che non sopportavano l’invasore straniero.
Un fervente cattolico come il romanziere modenese condannava il laicismo e l’impronta antireligiosa e anticlericale impressa dal Piemonte all’Unità d’Italia, che ha sottratto al papa i territori dello Stato della Chiesa nella penisola.
La giovane Mary, americana di origini italiane, scopre ai nostri giorni manoscritti e note dei suoi avi e stabilisce un feeling che scavalca il tempo con Clara, moglie del capitano e madre di un piccolo Grimaldi. Mary non sa nulla dell’unificazione italiana, viene nel nostro Paese, le dicono ch’è stata attuata a danno di un Regno innocente del Mezzogiorno, che durava pacifico da settecento anni, retto da sovrani amati dal popolo. Fa niente che ancora a oltre metà Ottocento i popolani meridionali fossero poco più dei medioevali servi della gleba e sorvoliamo sul fatto che quella di Francesco II di Borbone era una monarchia assoluta, al pari di quella dei predecessori, avendo il giovane re concesso una costituzione solo in extremis, ad “invasione” garibaldina bella e cominciata.
Anche lo scrittore e autore di questo romanzo-romantico non può fare a meno però di riconoscere che i briganti e insorgenti del Sud scannavano senza pietà i soldati piemontesi (dal 1961 italiani e di leva), “abbruciavano” le case dei liberali, linciavano borghesi e possidenti. Che volete, gli avevano esiliato il re a Gaeta e poi altrove, gli avevano cacciato i preti dalle parrocchie e andavano confiscando tutto il patrimonio, i beni e le terre della Chiesa in tutta Italia. Meritavano la morte i Savoia e chi li rappresentava.
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