Memorie di un kamikaze
- Autore: Kazuo Odachi, con Shigeru Ota, Hiroyoshi Nishijima
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2024
Aspirante pilota suicida, sopravvissuto, con onore. Da kamikaze a ispettore di polizia, una vita trascorsa nel ricordo degli amici caduti. A 18 anni, Kazuo Odachi è stato aviatore della Marina giapponese, nell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale. A 19, è entrato nel Dipartimento della Polizia di Tokyo, dividendo il lavoro con la pratica del kendo, arte marziale insegnata anche dopo il pensionamento (1983). A quasi 90 anni, ha accettato di raccontare la sua esperienza a un ex procuratore (Ota) e un giornalista (Nishijima), diventata un libro nel 2016. Da aprile 2024 è disponibile la versione italiana, Memorie di un kamikaze, di Kazuo Odachi, con Shigeru Ota e Hiroyoshi Nishijima, tradotto da Motoko Kanata e pubblicato da Garzanti (collana “Saggi”, 300 pagine).
Missione annullata. Il 15 agosto del 1945, poco prima di mezzogiorno, il caldo soffocava la costa nordorientale di Taiwan, sotto un cielo molto nuvoloso.
Dalla base aerea di Yilan, trenta monoposto da caccia Zero dell’aviazione della Marina imperiale giapponese, ognuno con una bomba da 500 chili sotto la fusoliera, stavano per decollare per una missione di sola andata contro la flotta americana nelle acque di Okinawa. Con le eliche già in moto, l’ichihiso (capo di terza classe) Kazuo Odachi sedeva nello stretto abitacolo del terzo aereo della prima sezione, nella fila avanzata. Il velivolo del capo sezione aveva quasi avviato la manovra di decollo, quando un’auto raggiunse ad alta velocità la formazione, bloccando la pista.
“Fermate l’attacco!”
Tornati nei locali della base, ascoltarono alla radio l’imperatore Hirohito annunciare che il Giappone aveva accettato la resa incondizionata. La guerra era finita.
Per Odachi, quella abortita sarebbe stata l’ottava partenza per un volo kamikaze, ma ancora una volta era scampato per un soffio alla morte. Aveva affrontato nell’aria i caccia americani Grumman, gli F6F Hellcat; era stato mitragliato mentre camminava per strada; aveva sofferto la malaria ed era fuggito dalle montagne delle Filippine, dov’era stato abbandonato con gli altri compagni. Sebbene fosse impegnato solo da poco più di un anno, aveva visto spesso la morte in faccia e ogni volta si era salvato. Si disse che non avrebbe dovuto più vivere in quel modo. A differenza di altri connazionali non sentì il peso della sconfitta. Capì che si chiudeva una parte della sua vita e se ne apriva un’altra.
I due curatori spiegano che il libro raccoglie i ricordi di un ex giovanissimo pilota di una tokkotai, unita d’attacco speciale suicida della Marina del Sol Levante. Alla fine del conflitto, Kazuo scelse:
“La via della resilienza, vivendo con grande integrità”.
Diventò agente e investigatore di polizia, rivolgendo sempre un pensiero, nel profondo dell’animo, agli altrettanto giovani compagni d’armi morti in guerra.
Alla sconfitta del Giappone, che concluse il secondo conflitto mondiale, Kazuo Odachi aveva diciotto anni, nato l’11 dicembre 1926 nel villaggio di Kotesashi, nella Prefettura di Saitama. Nel 1944 era stato selezionato nella tokkotai, ai comandi di un caccia Zero e aveva trascorso ogni giorno sul filo tra la vita e la morte.
Per buona parte, il libro offre un resoconto biografico dell’intero periodo bellico, visto da un giovane tra i 16 e i 18 anni. Kazuo è meticoloso nel ricostruire in diretta la cronaca dal campo di battaglia. La sua nuova vita cominciò a 19 anni: la notte di Capodanno 1946, bruciato il pugnale col fodero bianco ricevuto dal comandante in capo della flotta imperiale, scelse di arruolarsi nella polizia metropolitana della capitale. Per un verso, in quel lavoro si sentirà perfettamente a suo agio, per un altro contava, a ragione, di poter continuare con il kendo, coltivato con passione dall’infanzia.
Ha impiegato molto tempo, prima di trovare la forza di parlare del doloroso passato. Per realizzare il libro, Ota e Nishijima dicono di averlo incontrato ventidue volte, tra marzo 2014 e 2016, per un totale di oltre settanta ore, servite a raccogliere le informazioni riportate in queste pagine. Ha raccontato eventi risalenti a oltre settant’anni prima come se fossero accaduti da poco, riuscendo a riferirne in modo vivido. Da agente di polizia, inoltre, annotava gli eventi di ogni giorno, senza trascurarne nessuno.
La scelta di narrare in prima persona rende autentico e vibrante il racconto - supportato da verifiche su fonti storiche e militari - degli anni della guerra nelle Filippine e a Taiwan, fino al ritorno a casa, preceduti dall’infanzia e seguiti dal servizio come poliziotto nel dopoguerra.
Ogni volta che partivano in missione, perdevano alcuni compagni. Ogni sera bruciavano incenso per chi non c’era più.
“Domani sarà il mio turno. Era strano, ma venivo indotto a vivere con più distacco. Cominciai a sentire che vivere e morire erano la stessa cosa, forse perché il confine diventava sempre più confuso: per noi, vivere significava dover morire e morire avrebbe significato vivere in eterno. Via via che il tempo passava, mi preoccupavo sempre meno della vita e della morte stessa”.
Notava un cambiamento nei compagni, che li faceva sembrare più allegri.
Sette decolli, ma per varie ragioni oggettive, aveva sempre dovuto fare rientro alla base. Intanto, non dimenticava le trasmissioni Morse provenienti dagli Zero dei compagni:
“Sto per schiantarmi contro una nave americana”.
Il 4 maggio 1945, cinque aerei decollati solo venti minuti prima di lui, avevano individuato la flotta statunitense. Tadaatsu si era gettato sopra una portaerei, affondandola, Itsuji e Chikato avevano scatenato un grosso incendio a un’altra.
Tre vite sacrificate, solo una scalfittura per la potente industria bellica americana. Le unità vennero sostituite. Il Giappone perse la guerra.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Memorie di un kamikaze
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