Mezzo secolo di canzoni italiane. Una prospettiva sociologica (1960-2010)
- Autore: Stefano Nobile
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2012
Così cantava, per esempio, l’ammaliante Julio Iglesias, ricordate?:
“Ti dirò/ amo la luna e amo il sole/ sono un pirata ed un signore/ professionista nell’am(m)ore” (“Sono un pirata, sono un signore”).
E di contro Francesco Guccini, cose come queste:
“D’altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni/ e pago la mia casa/ pago le mie illusioni/ fingo d’ aver capito che vivere è incontrarsi/ aver sonno, appetito/ far dei figli, mangiare, bere, leggere, amare... grattarsi!” (“Canzone quasi d’amore”).
Da dissomiglianze tanto sostanziali la mia presa di coscienza sul fatto che esistono canzoni e canzoni, esistono un “alto” e un “basso” contenutistico-formali della canzone. Si tratta, insomma, ancora una volta di scegliere con chi e da che parte stare: se accontentarsi dei temini innocui dei Cugini di Campagna (& discendenti) o se credere che “a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia” (ancora da Guccini). Rimango dell’avviso che la canzone possa essere cosa molto seria (attraverso i cantautori italiani, finche sono durati nella loro accezione più “classica”, per esempio), per cui se mi imbatto in una "tirata" come quella cui si lascia andare Stefano Nobile in chiusura del suo “Mezzo secolo di canzoni italiane. Una prospettiva sociologica (1960-2010)" [Carocci], mi viene quasi di gettargli le braccia al collo, tanto ne condivido il succo.
Giudicate da voi l’efficacia del quadro sintetico dello sfacelo social-discografico che emerge dagli stralci seguenti:
“Va detto che la perdita di capacità attrattiva della canzone italiana va imputata, almeno in parte, anche alla radicale trasformazione del mercato. Attraverso l’esasperazione della riproducibilità tecnica di cui parlava Benjamin, la canzone e non solo quella italiana, ha perso progressivamente la propria aura di prodotto artistico, finendo con l’ispessire le file di un qualsiasi prodotto da grande magazzino”.
Quindi, ancora più sotto (siamo a pagina 286):
“I grandi ideali espressi con canzoni come “We Shall Overcome”, “Give Peace a Chance” e “Blowin’in the Wind”, o anche “Contessa” o “Bella ciao”, e trasformatisi i veri e propri inni, oggi non trovano seguito (…) Dal canto suo il rock, soprattutto attraverso i rapper, sembra accartocciarsi sempre di più su una nenia autocommiserativa con cui piangere i mali del mondo”.
E però questo libro non è un pamphlet (a tesi livorosa) mascherato. “Mezzo secolo di canzoni italiane” gravita, semmai, verso rotte antitetiche, prime fra tutte quelle della ricerca scientifica, dell’analisi sociale delle canzoni e dei tessuti connettivi che le hanno espresse. Lo fa attraverso un apparato nutritissimo di dati statistici, analisi linguistiche, musicologiche, proiezioni grafiche, riferimenti storici, elevando il mezzo-canzone a una dimensione finalmente empirica, attraverso la coniugazione di almeno tre dimensioni di analisi differenti. La prima rivolta ai contenuti (temi, valori); la seconda alle interazioni tra società e lingua cantata; la terza alla dimensione musicale tout court della canzone.
Muovendo da un corpus rappresentativo composto da 500 album e da oltre 6.000 brani (sic!), ne discende il ritratto ad ampio raggio - tra alti e bassi, momenti di decadenza e altri di rilancio - dei temi e delle parole cantate, fuori e tra le righe prossime alle cronache e alla storia italiana degli ultimi cinquant’anni aldilà di ogni ragionevole dubbio. Anche alla luce di questa sua trasversalità, il saggio risulta, dunque, persino avvincente, di un nitore e un peso specifici adamantini. Assolutamente consigliato, non soltanto ai lettori adusi all’argomento.
Mezzo secolo di canzoni italiane. Una prospettiva sociologica (1960-2010)
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