Millenovecentoquindici
- Autore: Graziano Mantiloni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Quando il pane era poco e il companatico mancava quasi del tutto.
Toscana dei primi del Novecento, provincia meridionale di Siena, verso Grosseto. Vita grama nei campi, antica saggezza popolare, un ritratto d’interni della società contadina di un secolo ed oltre fa nel romanzo “Millenovecentoquindici” del grossetano Graziano Mantiloni, edito ad aprile 2015 da Stampa Alternativa, nella Collana Eretica Speciale (222 pagine, 14 euro).
Piancastello è un paese immaginario che ne rappresenta uno qualsiasi a ridosso del Monte Amiata, rivolto verso l’amara Maremma, ma potrebbe essere un borgo della Bassa Padana, della pianura friulana, di un angolo remoto del Sud, perché lì e altrove, in quegli anni, si masticava pane e povertà, con l’emigrazione come contorno. Tanti figli, poco lavoro, brevi stagioni bracciantili e poi la guerra a togliere braccia ai campi e salari alle famiglie.
L’appetito non manca mai, se fosse oro saremmo i più ricchi del mondo
diceva la nonna di Elpina. Nella madia il pane era sempre troppo poco e il companatico spesso mancava quasi del tutto. Il padre insisteva che anche la ragazzina tredicenne dovesse fare la sua parte:
Bisogna che ciascuno in famiglia cominci a lavorare perché mangiare si mangia tutti i giorni.
Il mondo contadino di allora, visto con gli occhi di Elpina, figlia minore ed unica femmina – una si è spenta dopo un solo mese di vita, cedendo come altri ad una mortalità infantile altissima - di Neno Magrini, bracciante volenteroso, uomo di parola, un lavoratore senza grilli per la testa, uno affidabile secondo i padroni, i fattori e i sensali di manodopera. Lei è una ragazzina sveglia, attiva, diversa da tutte, trasognate ad aspettare il maschio che le avrebbe poi fatte figliare, lasciate sole in casa e picchiate magari con figli al ritorno ciucco dall’osteria.
Minuta, carnagione chiara e corporatura esile, quando le ragazze erano tondette e pettorute, sognava un giovane a modo, che l’amasse e le portasse rispetto. Non desiderava molto agli occhi di oggi, ma non si sarebbe accontentata di meno, a costo di litigare col babbo. Un contrasto coraggioso per una figliola di quei tempi. È che lei aveva le idee chiare già da piccina, fin quando il suo ideale si era concretizzato: da giovanetta aveva coltivato una semplice e onesta passioncella per Orfeo, il figlio più piccolo della buona maestra Lucia, gentile, educato, preciso nel vestire, al contrario del fratello maggiore Aldo, ombroso, rude e antipatico con tutti, senza voglia di sembrare diverso.
La storia di una donna quindi e la storia nella vita di una donna, come si legge in copertina, o la storia della nostra civiltà contadina, per niente facile per le donne ed anche per gli uomini, a giudicare dalle vicende della famiglia Magrini, sempre afflitta dalla scarsezza di soldi, pochi centesimi – quanto alle lire manco a dirlo – ed anche di risorse, perché parte dei compensi per il lavoro agricolo era pagato in natura: derrate, merci e prodotti.
Ci si mette pure la guerra, quella del 1915-18, a rubare gli uomini da casa. Il primogenito, Giovanni, è partito per la leva poco prima delle ostilità con l’Austria. Saro sarà arruolato anche lui e lo stesso Nino è richiamato, nonostante gli oltre quarant’anni di età. Il maschio più piccolo rimane inabile per un incidente con l’aratro, forse autolesionistico, che lui, tanto, d’andare al fronte a farsi ammazzare o ad ammazzare avrebbe trovato il modo di non andarci, aveva ripetuto più volte.
La guerra passa, ma segna pesantemente la famiglia: il padre torna che non è più lo stesso; un figlio è caduto per la Patria; un altro prima risultava disperso, poi si è saputo prigioniero ed è tornato scosso nel 1919; l’ultimo maschio ha un piede zoppo. Chi lavorerà adesso? Li avevano chiamati in un podere proprio perché le braccia maschili erano tante. Si rischiava che il padrone non rinnovasse il contratto di mezzadria (ai tempi era al 50%). Sarebbe stata la fame per tutti.
Anche Elpina si rimbocca le maniche. Con Orfeo le cose si sono messe per bene, ma il ragazzo è socialista e non tira aria buona in paese e dintorni, con tutti quei fascisti e con tutti i fucili che sono spuntati.
Si prospetta anche un dilemma: restare o emigrare? L’Argentina, sogno o incubo? È il dubbio di più di una generazione di allora. Elpina cosa deciderà?
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