Misteri, prodigi e fantasie in Terra di Puglia
- Autore: Antonio Mele
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Misteri e leggende del Salento, per il piacere dei grandi, che sognano sempre di tornare bambini
Sciacuddhi, monaceddhi, calcagnuli, alzi la mano chi ha capito – o vanta le origini meridionali adatte - che si tratta di folletti, gnomi, quegli spiritelli che secondo la civiltà contadina e preurbana popolavano case e casedde nel Mezzogiorno. Piccoli, ma non aggraziati, deboli ma irritabili e indisponenti, erano dispettosi, spesso molesti e ne combinavano di ogni genere. Lo scazzamurieddhu, per esempio, aveva l’impudenza di andare a piazzarsi nottetempo sul petto delle donne addormentate. Il senso di oppressione svegliava le malcapitate: la paura era immaginabile, ma le più coraggiose o altrettanto impertinenti dell’esserino fastidioso, avevano solo da stendere la mano e rubare il berretto dalla testa del piccolo importuno, per farlo cadere in ginocchio, implorante. Si può immaginare che una volta riscattato il cappello a forza di lamenti strazianti, si allontanasse “scornato” e impotente di offendere, a parte ogni genere di contumelia lanciata all’indirizzo della masciara (strega) sfacciata che si era presa gioco di lui. Scazzamurieddhi li chiamano in genere nel Salento, da dove provengono tanto i nomi citati prima, dal suono meridionale così caratteristico, tanto quei tipetti che Melanton, al secolo Antonio Mele da Galatina - scrittore, caricaturista, storico della satira e dell’umorismo - presenta nella prima delle quarantasette leggende locali, proposte in “Misteri, prodigi e fantasie in Terra di Puglia”, Capone editore Lecce, 144 pagine 10 euro.
La storia dell’omino birbante introduce l’intero volume ed offre l’esempio del tipo di racconto e di argomento che sta a cuore all’autore. Siete naturalmente liberi di non crederci, scrive, ma da bambino aveva il suo folletto inafferrabile, a casa della nonna. Lo contrariava ad ogni occasione, facendo sparire oggetti o rubando dolcetti e leccornie, ma sempre a debita distanza visiva. Furbo e vigliacchetto com’era, Piripicchiu - lo chiamava così - non si faceva certo vedere.
Una cosa serissima questi spiritelli maliziosi nell’Italia meridionale. Se n’è accorto Carlo Levi, nel suo soggiorno forzato a sud di Eboli.
I monachicchi – scriveva nel suo capolavoro, come ricorda Mele - sono esseri piccolissimi, allegri, aerei, corrono veloci qua e là, e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti. Fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d’aria e fanno volare le carte e cadere i panni stesi, tolgono la sedia di sotto alla donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come zanzare. Ma sono innocenti: i loro malanni non sono mai seri, hanno sempre l’aspetto di un gioco, e, per quanto fastidiosi, non ne nasce mai nulla di grave. Portano in capo un cappuccio rosso più grande di loro: e guai se lo perdono. Tutta la loro allegria sparisce ed essi non cessano di piangere e desolarsi finché non l’abbiano ritrovato. Il solo modo di difendersi dai loro scherzi è appunto di cercarli di afferrarli per il cappuccio: il povero monachicchio scappucciato ti si butterà ai piedi, in lacrime. Ora i monachicchi, sotto i loro estri e la loro giocondità infantile, nascondono una grande sapienza: conoscono tutto quello che c’è sottoterra, sanno i luoghi nascosti dei tesori. Per riavere il suo cappuccio rosso, senza cui non può vivere, prometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro. Ma non devi accontentarlo fino a che non ti abbia accontentato; finché il cappuccio è nelle tue mani, il monachicchio ti servirà. Ma appena riavrà il suo prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo sberleffi e salti di gioia, e non manterrà la sua promessa.
Sapientissima raccolta di storie e leggende dei nostri avi, scrive nella postfazione l’altro saggista e storico galatinese, Maurizio Nocera, anche lui studioso di tradizioni popolari.
Sono passate di bocca in bocca, nate dalla cultura ingenua che spesso più di quella colta sa esplorare gli spazi della fantasia, intrecciata alla memoria del leggendario, del mitologico, che viene direttamente da secoli lontani. Ed ai racconti della vulgata locale, così ricchi di incantesimi, di meraviglie, la fantasia di Mele ne aggiunge di nuovi.
Uno tira l’altro, per il piacere dei grandi, che sognano sempre di tornare bambini.
Misteri prodigi e fantasie in terra di Puglia
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