

Mortalità
- Autore: Christopher Hitchens
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2012
“Definendo il mio tumore all’esofago ‘un alieno cieco e privo di emozioni’, nemmeno io sono riuscito a evitare di attribuirgli alcuni caratteri di un essere vivente. Perlomeno so che questo è un errore: un esempio di ‘fallacia patetica’, che consiste nell’attribuire caratteri animati a fenomeni che animasti non sono (…) Tuttavia come sapevo già prima di ammalarmi, ci sono persone che ritengono insoddisfacente questa spiegazione. Ai loro occhi un carcinoma a cellule basali è un agente consapevole e intenzionale (…) in missione per conto del cielo”.
A scrivere è Christopher Hitchens, in epoca di reiterato oscurantismo (non soltanto religioso), una delle intelligenze - e delle firme del giornalismo mondiale - più acute in circolazione. Il carcinoma lo ha ucciso senza che sia retrocesso di un passo dalle proprie convinzioni ontologico-metafisiche: per quanto sconfortante possa suonare il cielo è vuoto, nel migliore dei casi attraversato solo da uccelli e aerei. La religione avvelena ogni cosa (per rifarmi al titolo di un suo saggio di successo) e l’alternativa all’accettazione supina del dogma è data dalla sua trascensione via pensiero scientifico-positivista. Anche la dichiarazione che segue (tratta dal suo ultimo libro “Mortalità”, Piemme, 2012) suona - in tal senso - come programmatica:
“Prima che mi fosse diagnosticato un cancro all’esofago un anno e mezzo fa, annunciavo spavaldamente ai lettori delle mie memorie che al momento del trapasso volevo essere pienamente consapevole e lucido, per “vivere” la morte attivamente e non passivamente. E in effetti tento ancora di tener viva quella fiammella di curiosità e di sfida; intendo giocarmela fino alla fine e vorrei che non mi fosse risparmiato nulla di ciò che appartiene all’esistenza”.
Il volumetto si offre dunque come un ideale consuntivo dell’Hitchens-pensiero, un manifesto di illuminismo aggiornato al terzo millennio, gravido di fierezza, rimandi filosofici, riflessioni proprie, persino motti di spirito, legati al filo rosso della kierkegaardiana “malattia mortale”, l’angoscia delle angosce, “la” paura per antonomasia, da che acquisiamo consapevolezza (per buttarla ancora sul filosofico) del nostro esser-ci per la morte.
Una raccolta di scritti usciti (a dispetto del cancro) su “Vanity Fair”, il monitoraggio intellettuale delle speculazioni su realtà e (inconcepibile) eternità, sulla decadenza del corpo provato dal male, dunque - una volta di più - su fantasie religiose e falsi miti cui la maggior parte delle persone si aggrappa ottusamente, quasi sempre per viltà. Discendenti dalla convinzione che non siamo “nel” corpo ma “siamo il nostro corpo”, gli ultimi scritti di Hitchens risultano un contributo estremo al pensiero liberato, un inno alla sagacia, un invito all’affrancamento dai lacci e laccioli della fede superstiziosa, generatrice spesso di conflitti. Nemmeno l’idea della sua morte imminente (l’idea della morte degli altri è, tutto sommato, più accettabile) trasforma Hitchens in pavido metafisico: ritengo che lo scarto tra l’uomo e l’omuncolo strisciante (dunque genuflesso e orante) di fronte al nulla si misuri anche all’ombra dell’idea della propria estinzione, e della dignità che sgombra gli ultimi giorni da finte illusioni. Una sfida-battaglia cui il polemista inglese ha consacrato la vita e parte della sua opera, che lo consegna alla storia come uno degli intellettuali più stimolanti, graffianti, sottili, godibili, stimolanti, della contemporaneità. Per tutto questo e per la coerenza con la quale lo ha espresso, che la terra possa essergli davvero lieve.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Mortalità
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Uno dei migliori libri che abbia letto negli ultimi tempi. La riflessione sul nostro "essere corpo" e non averlo è di quelle che ti fanno improvvisamente luce nel cervello. E’ una cosa che già sapevi ma non avevi mai avuto il coraggio di dire a te stesso. Grazie Hitchens. Con questo libro ci aiuti a vivere con maggiore consapevolezza il "qui e ora" fino a che siamo sani ed ad accettare l’inevitabile "passaggio del testimone" quando sarà il momento