

Processo a Dio
- Autore: Christopher Hitchens
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2012
La religione fa bene al mondo?
L’esistenza di Dio non mi convince, meno ancora l’esistenza di un Dio così come ci viene “spacciato” dalla religione: intrinseco alle vicende umane, “interventista”, dispensatore di amore e di giustizia. Antropomorfizzare la divinità, “ridurla” in attributi accessibili alla credenza comune (Giusto, Severo, Misericordioso): è questo l’atto mistificatorio perpetrato dalle religioni-protesi di mitologie politeiste. Prima ancora di leggere “Processo a Dio” (Christopher Hitchens - Tony Blair, Piemme 2012) sapevo già da che parte sarei stato, a quale tesi - pro o contro la religione, perché è di questo che il libro dibatte in special modo - avrei aderito. Ritenevo e ritengo adesso, a lettura ultimata, che non c’era partita. In “Disputa su Dio”, quanto meno Vito Mancuso riparava dai fendenti scettici di Corrado Augias ricorrendo all’alveo dei non pochi ammennicoli teologici di cui è a conoscenza. Il credente Blair nemmeno questo ed esce quindi malconcio dal confronto-scontro col materialista Hitchens (anche autore dell’ottimo “Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa”). Leggete lo stralcio che segue e fatevi un’idea della lucidità adamantina di Hitchens:
“Se abbandonassimo la religione, scopriremmo quello che già sappiamo (…) e cioè che siamo dei primati imperfetti, evoluti, su un pianeta molto piccolo, in una zona periferica e poco importante del sistema solare, che è esso stesso parte irrilevante di un sistema cosmico che si sta espandendo e disperdendo molto rapidamente. Queste conclusioni mi suscitano molto più terrore e meraviglia di un roveto ardente o di un cavallo che vola nella notte verso Gerusalemme, o cose simili”.
E ora leggete Blair e notate come alla fine non riesca che ad attestarsi solo e sempre sulle sue convinzioni di fede (quindi indimostrabili).
“Osservo che se molti processi vitali possono essere spiegati dalla scienza, essa non può spiegare il significato e il fine della vita. E in quest’ambito di significati, almeno per me, non c’è spazio per le certezze di carattere scientifico, c’è invece spazio per una fede, che è chiara, persistente e, oserei dire, razionale”.
Ritengo pernicioso questo tipo di atteggiamento: perché continuare a interrogarsi sul senso della vita quando è evidente che un senso non c’è? (e perché mai dovrebbe esserci? Cosa rende l’uomo tanto diverso da altre specie, se non un cervello capace di interrogarsi su stesso e immaginare un compensatorio aldilà?).
Il libro è esile - non raggiunge nemmeno le 100 pagine - ma stratificato e stimolante, dati i temi, la posta in gioco e le indubbie capacità oratorie dei due polemisti. Una buona lettura per interrogarci sulla nostra condizione ontologica in relazione al potere manipolatorio della religione e per guardare alla realtà dal suo lato più brutto. Cos’altro resta da fare, in fin dei conti, se non arrenderci alla contingenza con quanta più dignità è possibile?

Processo a Dio. La religione fa bene al mondo?
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