Napoleone il Grande
- Autore: Andrew Roberts
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: UTET
- Anno di pubblicazione: 2015
Vent’anni per salire agli altari e scendere nella polvere, tutta qui la parentesi essenziale di Napoleone Bonaparte nel corso della storia. Due decenni, un periodo insignificante rispetto ai diversi millenni che contano le vicende dell’umanità. Solo vent’anni, ci ricorda lo storico e giornalista inglese Andrew Roberts, autore di una recente biografia dell’imperatore corso, un lavoro di una certa imponenza. Uscita in prima edizione nel 2014 in Gran Bretagna, è arrivata in Italia a dicembre 2015, col titolo “Napoleone il Grande”, un librone di ben 1064 pagine, edito da UTET (versione in brossura in vendita a 42,00 euro, con ebook compreso nel prezzo).
In appena dieci anni, la sua ascesa lo portò sul trono imperiale. Si era messo in luce agli occhi del Direttorio e aveva rivelato le sue doti militari non comuni, sedando i moti di Parigi nel 1795. Grazie al capolavoro tattico di Austerlitz, con la grande vittoria sugli austro-russi a fine 1804 divenne il padrone dell’Europa. Nel decennio successivo, l’arco delle sue fortune andò a decrescere, con le sconfitte dei suoi generali in Spagna e Portogallo, poi con le sue, a Lipsia e soprattutto a Waterloo.
1795-1815: ecco l’alfa e l’omega di un gigante della storia, che ha fatto, rifatto e perduto un continente, lasciando il suo segno nelle istituzioni amministrative di tanti Paesi, Italia di oggi compresa. Si devono a lui pezzi del Codice Civile, l’istituzione dei licei, della Corte dei Conti, perfino la creazione dei cimiteri, trasferiti su sua disposizione fuori dagli abitati. Come condottiero, tentò addirittura di realizzare il sogno di Alessandro Magno di conquistare l’Oriente, muovendo con le armate francesi dall’Egitto e dalla Palestina.
In effetti, rispetto a quel ventennio cruciale, la vita di Napoleone aveva avuto anche un prima (era nato ad Ajaccio, nel 1769) e avrà un dopo: i sei anni malinconici di esilio a Sant’Elena, in pieno Atlantico, dove morirà il 5 maggio 1821.
Generale ad appena 24 anni nell’esercito repubblicano – la mamma gli aveva precluso la marina perché non voleva un figlio annegato o bruciato - ne aveva solo 25 quando affrontò la rivolta antigovernativa nella capitale. Non era avanti in linea di anzianità, ma era il più determinato a usare la forza contro i rivoltosi. Era nato come ufficiale di artiglieria e oltre a schierare fanti e cavalieri, non esitò a caricare i cannoni a mitraglia, misura da campo di battaglia mai adottata contro i civili.
Napoleone affrontò gli insorti antirepubblicani con forze inferiori, nel rapporto di uno a sei, ma ebbe la meglio in capo a poche ore di fuoco senza pietà, che provocarono tanti morti tra i ribelli da terrorizzarli. Per anni a Parigi non ci si lasciò andare ad altre sommosse di strada.
Meritò la promozione a generale di divisione, riconosciutagli dal potente Barras, grato perché il piccolo corso tanto risoluto aveva salvato la Repubblica e sventato una possibile guerra civile.
Una biografia originale quella di Andrew Roberts.
“Ho cercato di non lasciarmi influenzare troppo dalle precedenti interpretazioni”
scrive. Si è impegnato a risalire alla figura di Napoleone direttamente dalla mole ingentissima delle lettere, un numero enorme, 33.000, che dettava più di una per volta ai segretari, tanto velocemente che ognuno di loro aveva cercato di sviluppare una propria tecnica di stenografia. Sapeva escludere una parte della mente rispetto a quanto stava elaborando con l’altra. E questo potrebbe suggerire l’incidenza di una qualche forma di autismo.
In tempo di pace, faceva accendere candele alle finestre del suo alloggio, per far dire: l’imperatore non riposa mai (anche Mussolini non spegneva mai la luce dello studio a Palazzo Venezia).
Sul campo di battaglia, privilegiava l’attività e la mobilità. Inchiodare l’avversario e aggirarlo! Si preoccupò sempre di assicurarsi il vantaggio dell’iniziativa, mantenne l’offensiva in almeno cinquantacinque delle sessanta battaglie combattute. Nessun assedio, fulminei attacchi al cuore del nemico. Non si faceva rallentare da pesi e ingombri, limitava le salmerie e preferiva unità ridotte e mobilissime (introdusse la novità dei corpi d’armata). Le faceva avanzare a colonne, non troppo distanti, richiamabili alla minima esigenza. In aggiunta all’accurato addestramento dei soldati, questo gli consentiva di marciare a velocità impensabile per gli avversari.
È stato un despota? È stato il killer della migliore gioventù di fine Settecento? O l’architetto dell’Europa che conosciamo oggi? Le guerre rivoluzionarie e napoleoniche causarono nel complesso la morte di quattro milioni di persone (di cui un milione di civili), un terzo dei quali francesi. Ma Bonaparte subì più dichiarazioni di guerra di quante ne abbia inviate. Le ostilità del 1813, 1814 e 1815 non furono scatenate da lui, che aveva avanzato proposte di pace prima dello scoppio di ognuno di questi conflitti.
È stato Napoleone il grande? Lo scrittore britannico lascia la risposta ai lettori, ma il titolo tradisce la sua opinione… sì, senza ombra di dubbio per Andrew Roberts.
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