Navi al fronte
- Autore: Vincenzo Grienti, Leonardo Merlini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
La Marina italiana “in trincea” anche in mare, nella Grande Guerra.
Le abbiamo prese, ma quante ne abbiamo date all’Imperial regia Marina austriaca nell’ultimo anno del primo conflitto mondiale. Eppure, mancò l’epica battaglia navale che l’Italia auspicava per riscattare la memoria infausta di Lissa. Il nemico non usciva dai porti e anche quella in mare diventò guerra di posizione, gli uni di qua, gli altri di là, come in trincea. Lo mette in evidenza un saggio, “Navi al fronte. La Marina italiana e la Grande Guerra” (150 pagine, 15 euro) pubblicato da Mattioli 1885, casa editrice di Fidenza (Parma), realizzato dal giornalista Vincenzo Grienti e da Leonardo Merlini, ufficiale superiore, capo sezione editoria storica dell’Arma navale.
Presa coscienza che le grandi unità avversarie non sarebbero uscite dalle basi dalmate per affrontare le nostre squadre, la Regia Marina si convinse che anche la guerra in Adriatico sarebbe diventata statica, come quella sul Carso. C’era da difendere le coste, prevenire puntate del nemico, tenerlo in apprensione e il bilancio finale arrise ai nostri sforzi, ai punti.
Le perdite subite sono state dolorose, 70 unità, ma va detto che delle tre corazzate andate a fondo due vennero sabotate nei porti con ordigni nella santabarbara. Il 27 settembre 1915 saltò la Benedetto Brin a Brindisi. Il 2 agosto 1916 toccò alla Leonardo da Vinci, in rada a Taranto. L’unica nave da battaglia perduta in azione fu la Regina Margherita, incappata su mine a Valona. In combattimento colò a picco l’incrociatore Garibaldi, il 18 luglio 1915, silurato mentre bombardava la ferrovia montenegrina. Undici giorni prima, stessa sorte per il vecchio cruiser corazzato Amalfi, nelle acque di Venezia, ad opera di un nemico clandestino. Era un Uboot tedesco, in agguato sebbene il Regno d’Italia non fosse ancora in guerra con la Germania (lo sarà solo dall’agosto 1916).
Superate le difficoltà del ’15, la Regia Marina si riscattò, costringendo la flotta imperiale a restare rintanata. Mettemmo in campo inventiva e valore personale, ingegno tecnico e ardimento. Piccoli natanti, come i motoscafi siluranti, i mitici MAS, misero a segno importanti affondamenti in Adriatico. Due MAS, al comando del capitano di corvetta Luigi Rizzo e del guardiamarina Aonzo, attaccarono una squadra navale austriaca all’alba del 10 giugno 1918, sventando una rara sortita verso Sud e mandando a fondo la corazzata Szent Istvàn, in un drammatico capovolgimento ripreso dalle cineprese a bordo dei battelli austriaci.
Lo stesso Rizzo aveva silurato col MAS 9 la corazzata Wien, a Muggia, il 9 dicembre precedente, danneggiando la Budapest. Intanto, si studiavano barchini offensivi per forzare le basi dove le navi nemiche erano protette da cannoni, battelli antisom, reti e ostruzioni passive. Si costruirono mezzi di nuova concezione, come i “Grillo” e i “Locusta”, per superare gli ostacoli e portare la minaccia occulta nei porti.
Il massimo risultato fu ottenuto dai giovani ufficiali Paolucci e Rossetti, pionieri delle incursioni subacquee. Penetrati a Pola a cavalcioni della “Mignatta”, antenato del “maiale” del 1940, riuscirono ad affondare la corazzata Viribus Unitis, il 1 novembre 1918. Grandi colpi portati da piccoli mezzi intelligenti e intelligentemente condotti.
Questi i fatti per grandi linee. Imprese di uomini e di scafi moderni, di fantasia e coraggio. Un esempio è la “Beffa di Buccari”, nel febbraio 1918. Pur forzando la baia croata, non si inflisse alcun danno al nemico, ma quello psicologico fu enorme, amplificato dal genio propagandistico di Gabriele D’Annunzio che partecipò.
I marinai d’Italia sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la cautissima flotta austriaca, occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa
scrisse in un messaggio affidato a tre bottiglie lasciate in acqua.
In luce, nel saggio – arricchito da eccellenti foto dell’Ufficio storico MM – anche la difesa costiera, con i treni armati da cannonieri del CREM che correvano lungo i binari adriatici e lo sbarramento fisso in superficie di 66 chilometri, da Otranto alla costa albanese, che subì quasi novanta attacchi da sommergibili. C’è spazio per il servizio idrovolanti, le ali sul mare e per i marò del Raggruppamento Marina, primo nucleo del San Marco, che combatterono da fanti a difesa della laguna veneta.
Tra gli altri contenuti, il lavoro mette in risalto l’impegno solidaristico della Marina, a sostegno dei profughi e delle popolazioni e il gravoso ma riuscito salvataggio dell’esercito serbo. Infine, un aspetto poco noto, l’istruzione offerta a bordo di navi caserma ad orfani, figli di carcerati, trovatelli: tutti “marinaretti”, sottratti alla fame, alla miseria e alla delinquenza.
Navi al fronte. La marina italiana e la grande guerra
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