Navigante di poppa
- Autore: Loredana Borghetto
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
Quello di Loredana Borghetto è uno sguardo nel proprio interno che si compie in un viaggio per mare: irto di difficoltà certamente, dov’è possibile naufragare per la presenza di forti venti e mostri, ma nello stesso tempo è transito da una riva all’altra. Ecco allora il senso del titolo: Navigante di poppa (AltroMondo, 2023) che nel prologo viene illustrato con linguaggio poetico.
E’ l’io narrante con costui a identificarsi. Osserva le onde del mare che con irruenza si alzano e con dolcezza si abbassano. Così è la vita: ci si agita come se l’agire dipendesse dal volere personale e infine si rimane sommersi, diventando “lievi scie”.
In tutto questo, l’atteggiamento, prima che il “nulla” travolga ogni vita, è di entrare nel proprio inconscio allo scopo di smascherare ipocrisie, certezze, infingimenti che occultano ferite e sofferenze. Allora comincia la navigazione quale metafora di una singolare rivisitazione.
Inizia il racconto di ciò che si ricorda e le parole, si legge, sgorgheranno impetuose:
prenderanno il largo o coleranno a picco negli spazi della tua immaginazione vincendo ogni resistenza a sciogliere gli ormeggi.
Siamo nell’anima dell’epigrafe recante una suggestiva riflessione di Mario Luzi:
Il racconto è ricordo e ricordo è vivere.
Un prologo, quattordici capitoli, ciascuno dei quali ha un titolo, l’epilogo: questa la struttura del romanzo, che ha un andamento diaristico in cui è prevalente l’alternanza dei tempi del presente e dell’imperfetto, mentre la descrizione di cose, eventi, persone è ricca di dettagli, sensazioni, stati d’animo, tra cui, in primo luogo, il sentimento della perdita come lontananza in età infantile dalla propria casa.
Navigante di poppa è un’opera intensa sulla vicenda esistenziale dell’autrice ed è subito l’empatia tra il lettore e il narratore a costituirne la prima qualità: prima opera di narrativa dopo tante fruttuose esperienze poetiche.
Il genere è perciò autobiografico ed è nel corso del capitolo 1 che il lettore scopre il significato della dedica: “Alla memoria dei miei genitori e della sorellina che non ho conosciuto”.
Procedendo di pagina in pagina, vengono in mente le parole di Rita Charton, autrice statunitense:
È necessario raccontare il dolore per sottrarsi al suo dominio.
Una sorta di terapia è dunque la potenza del narrare e quest’opera che presentiamo lascia indimenticabili frammenti che attirano anche per la chiarezza e pacatezza di stile.
Il racconto, che si avventura nei labirinti della mente, esplicita la memoria d’una bellissima storia: in tal senso va letto e in tal modo tutta la vicenda passa per la mente del narrante nel tempo richiesto dalla navigazione.
Coinvolgono le associazioni che si compiono mentre si dirama il tema dominante: la conoscenza, tenera e febbricitante, dell’origine intrecciata con il passato dei genitori. Come a dire che siamo in un certo senso l’esito dei loro vissuti, della loro microstoria per molti aspetti umiliata e offesa dalla macrostoria. Considerazioni personali e commenti sono esplicativi e dalla rappresentazione può dirsi che venga fuori un ritratto del costume nel periodo fascista, nel secondo dopo guerra, e a seguire, con una protagonista intimamente vicina alla gioia del conoscere e della vita.
Mangiando le rosse bacche, afferma:
Non si trattava di fame, c’era soprattutto la curiosità di conoscere, di esplorare, di assaggiare, col desiderio allora inconsapevole di imprimere nelle papille gustative ogni sapore, che era il sapore della fanciullezza nei suoi momenti più sereni.
Le pagine, al capitolo 3. sull’esperienza e sul significato della casa, sono tra le più belle di questo libro, in cui l’autrice riesce a rappresentare la corporeità del sentire:
Oggi questa casa così silenziosa, che per un lungo periodo è stata la mia quotidianità, mi restituisce una miriade di rumori e di sensazioni, un pulviscolo di emozioni grazie alle quali riscopro angoli e dettagli che il tempo sembrava aver cancellato.
La casa, dunque, come luogo della prima educazione sentimentale e attorno ad essa il tempo ritrovato e perduto, il convergere delle cose accadute, il lieve minimalismo di usi e costumi, i luoghi deputati dell’infanzia e i riti paesani, il trascorrere della vita coi libri letti e il riconoscere la magia del sogno. “Leggerezza” è un lessema ricorrente nella scrittura di Loredana Borghetto, c’è indubbiamente l’idea di letteratura mandata avanti da Italo Calvino rispetto alla pesantezza delle parole. E la leggerezza va ritrovata nelle parole d’amore che tutte le pagine in modo incalzante e implicitamente contengono.
È la meraviglia dei bambini, che richiama una nota frase evangelica, a raggiungere il lettore, a farlo entrare in una dimensione spirituale, in un’atmosfera rarefatta, in una bellezza nascosta e confessata. Sono istanti di luce ed è lo stupore ad aprire l’immaginazione che toglie il fiato.
La memoria, ora felice ora dolente, combina le tessere di un puzzle in cui il modo personale configura anche la fisionomia della comunità d’appartenenza. Perché, a dirla con Vincenzo Consolo, Retablo è questo romanzo: un insieme di figure che rappresentano la serie di una storia. A questo punto ci si può chiedere se valga la pena di leggere il libro. Credo di sì per la limpidezza della scrittura, innanzitutto. La vicenda non appiattisce le parole tipiche di un dialogo intimo che si apre alla contemplazione del paesaggio talora da tristezze disperso.
“Leggera”, riprendendo le lezioni calviniane, la puntuale precisione della memoria carica di affetti. Leggero è il titolo stesso Navigante di poppa che viaggia più spesso a ritroso alla ricerca della propria individuazione. Leggera è la nostalgia di un mondo finito che evoca Il pianto della scavatrice di Pier Paolo Pasolini.
La vibrazione più intensa viene raggiunta in pagine in cui ciascuno della medesima generazione può ritrovarsi: vanno dal capitolo 11 all’epilogo e si esprimono in una scrittura accattivante con un tono di accettazione della vita e nel contempo di cambiamento anche se raggiunta una certa tappa l’uomo si accorge che c’è poco da cambiare.
Con profondità umana dolorosamente scolpita nella malattia del padre, si fa dominante l’argomento della vecchiaia:
la tappa più fragile e difficile della vita, perché peggiora giorno dopo giorno e non ha altro futuro se non la morte.
Da qui il vivere la morte da parte della protagonista la quale sente il tempo della diminuzione, avverte sensazioni sconvolgenti, immagina il rapimento del corpo nella bara calata nel posto giusto.
Le prime e le ultime righe dell’epilogo sono eloquenti:
Ormai l’imbarcazione rallenta in vista dell’attracco. I motori, dopo un ultimo sussulto tacciono; si ode solo il vocio scomposto dei passeggeri che svogliatamente scendono, mentre il mare si sta ricomponendo. Rimane qualche increspatura a ricordo del viaggio appena compiuto […] Nel frattempo lascio nuotare tranquillamente le parole perché raccontino quello che ho compreso e quello che ancora non sono riuscita a capire, aspettando il finale, perché in ogni storia c’è il finale.
È anche questo il viaggio della parola che è storia di sentimenti e che si risolve nel mistero della vita; misura dell’uomo la parola: disvela e nello stesso tempo vela; “ombra platonica”, dice Consolo che ha registrato l’imprendibilità del senso della vita umana.
Navigante di poppa
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