Tempi così e sincronie in volo
- Autore: Loredana Borghetto
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2020
La notte oscura del ‘nostro medioevo’ genera un grande disagio e, nel contempo, un orizzonte di aperture più o meno ampio. Mi riferisco con questo pensiero alla poesia di Loredana Borghetto, bellunese e già insegnante di lettere, la cui silloge Tempi così e sincronie in volo (Libreria editrice Urso, 2020), in due sezioni, si snoda lungo il tracciato del negativo alienante dove l’essere umano si sente ormai bene in compagnia d’una “stretta” assuefazione.
I suoi versi, generalmente brevi e melodici, dai lessemi vigorosi e inusuali e mai monotoni o uguali, fanno anima e con un linguaggio inesauribile puntano lo sguardo sul malessere della società globalizzata. La parola esce fuori dal presente “spento” in uno scenario apocalittico, incrostato di dolore, da orridi incavi danteschi, da abissi labirintici che sono la vita in cui brancoliamo alla ricerca di un senso, di una via di fuga.
Si odono in ogni componimento voci atroci che sensorialmente si sedimentano in ogni fibra dell’io poetico, dal momento che ogni verso è vissuto e sofferto. Nell’ulissiade viaggio sono i mostri quotidiani, identificati nelle mode consumistiche e omologanti, di vacui beni, da indurre alla resa. Fantasmi che dominano per la competizione e sopraffazione che vorrebbero far cadere nel vuoto il discorso poetico.
Nel componimento Vite, pensieri e gesti si svolgono in un centro commerciale popolato dall’anomia di travestiti in contrasto alla genuinità del sentire:
“Vite preconfezionate / in vendita a prezzi stracciati / vite bulimiche impigliate / tra desideri da supermercato / vite dai pensieri corti come uno spot / svuotate in carrelli pieni di disincanto / vite che sfilano con una faccia / indossata per recitare una parte”.
Vi è uno svolgersi di fotogrammi inquietanti che provocano riflessioni sul fondamento stesso dell’esistenza: quella che si vorrebbe ritrovare insieme alla fiducia nell’altro e quindi, in ultima analisi, alla fiducia in sé stessi. Ha ragione Jung quando dice che la vita esige sempre d’essere riconquistata da capo. È dal buio delle incertezze che procede un cercare con profonda umiltà l’istante della chiarezza. Difatti, nel dialogo con sé o l’altro da sé (il “tu” / “noi” implicito o esplicito), Loredana Borghetto, rifuggendo dalla retorica, si rimette in gioco con il bisogno di scrutare “l’architettura sacra del cielo” e cogliere in una distensione dell’animo possibilità di vita.
Ecco, allora, un filo di speranza:
“Abbiamo perso l’ingenuità (forse) / ma il nostro sguardo / cerca ancora sempre / profumo di musica”.
L’inventività sta nel voler vedere un mondo nuovo con la consapevolezza che la guarigione è data dalla bellezza. Ciò significa che la poesia è visionaria; si distacca in modo vigile dalla realtà che angoscia e svela la dimensione salvifica e profetica della parola.
I dati opachi, brucianti e assurdi vengono allora illuminati da una luce trasparente che fuga le insidie:
“l’occhio s’aggrappa a un campanile / lontano aspettando un suono / che sia rivincita su arroganti fragori, / insegue un lembo di cielo che restituisca / anche una sola stella o una fascia di terra / dove ascoltare un canto ancora / in questa babele senza armonia”.
La realtà che delude non sacrifica la passione per la vita; per ogni fine c’è sempre un nuovo inizio vogliono dire i suoi versi; il negativo non si conclude in sé, ma si apre alla rivelazione d’una verità che possa essere. Là dove c’è un faccia a faccia col male, la paura alchemicamente si muta in saggezza che tende a costruire armoniose allegorie ‘in volo’.
L’appello lanciato col ritmo dell’anafora rivela la liberazione dall’assenza:
“Noi che volevamo portare il cielo in terra / noi che ci eravamo eretti a profeti / di una rinnovata umanità / noi che volevamo smuovere / dio dalla sua assenza / lasciamo falsi idoli / e mondi irrespirabili”.
Versi poco consueti, di questi tempi, versi con l’anima. Non riuscendo a sentirsi bene, anela a un cambio di prospettiva nella storia del mondo ed è allora che acquistano più rilievo i timidi e discreti momenti di idilli deliricizzati: il filo d’erba che sottovoce racconta storie di libertà, una goccia di pioggia danzante nell’aria, la lentezza del ruminare parole e pensieri, ali di libertà azzurra, la riscrittura del rapporto amoroso “oltre le ossessioni / di ogni tassonomia”.
Sono alternative possibili all’orrore e alla morte e che svelano di fra le nebbie e nubi ‘l’isola dei Feaci’, dove il sentimento è fondamentale (Verso l’isola dei Feaci chiude la prima sezione). La poesia di Loredana Borghetto, che costa un altissimo prezzo e porta lo stigma della fragilità, ricca e sicura si apre a tempi lunghi e lenti, profumati da teneri freschi germogli. I segni d’una strada trovata mescolati a quelli della crisi del post-moderno si possono più agevolmente riconoscere leggendo la seconda parte della raccolta.
La verità redentrice racchiude felicissimi attimi, sintagmi brevi nella grammatica del paesaggio rinnovato, fervide sensazioni se ci si lascia trascinare dalla corrente vitale:
“Quando ti accade di vivere / sei acqua senz’argini / farfalla posata sull’allegria di begonie / pesca carica di mille sapori / quando ti accade di vivere / non senti odore d’autunno / e anche nell’ombra scorgi / avventure nuove da correre”.
Una dolorosa speranza, colta tra gli allarmi e i sistemi d’una contemporanea odissea, si fa in fondo tensione comunicativa: l’autrice interroga la realtà e fissa l’ora di “favolose congetture” verso “altre delizie” del “qui” irrisolvibile nell’evasione che evita ostacoli e responsabilità. Dalla nera ombra del dolore si giunge così alla possibile ricostruzione del “piccolo mondo imperfetto”. La lirica Non chiuderti evoca un atto di liberazione dagli artifici della socialità e richiama a una conquista di spazi aperti che si dilatano nel pieno dell’universo interiore per irresistibile richiamo di salvezza. Come l’uomo dovrebbe essere, sottratto alle obbligazioni del banale. Là dove c’è più spazio c’è poesia in possibili mappe d’uscita dove ci si inoltra per riconoscere la differenza tra due opzioni: lo stilema dell’essenza e quello d’uno sterile vagabondaggio.
“Ogni buio ha un cuore di luce / e ogni luce ha un cuore di buio / non chiuderti dentro i confini / di una pagina o di un link / tu sei un libro intero / sei l’intero mondo”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Tempi così e sincronie in volo
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