Nell’inferno degli U-Boot
- Autore: Edgard von Spiegel
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2017
Lenti e impacciati in superficie, silenziosi ed eleganti nella navigazione sottomarina: fin dal battesimo del fuoco nella Grande Guerra, i sommergibili potevano essere croce e delizia, castigo e paradiso. È un aspetto che la versione italiana del titolo di un classico (l’edizione tedesca risale al 1930) riesce a rendere molto bene. “Nell’inferno degli U-Boot”, del comandante Edgard von Spiegel, è stato pubblicato nel 2017 da Ugo Mursia Editore, nella collana Testimonianze fra cronaca e storia (202 pagine 17 euro).
Prussiano, aristocratico, trentenne, ex cadetto in una scuola militare tedesca, arruolato nella Marina imperiale dal 1903, von Spiegel era un ufficiale della flotta sottomarina, la punta di lancia dell’arma navale germanica. Una specialità nuovissima quella dell’insidia subacquea, visto che la prima unità era entrata in linea appena nel 1906 nella Kaiserliche Marine.
Più di altri, lo Stato Maggiore navale tedesco aveva intuito le potenzialità dell’attacco portato al nemico da battelli che si avvicinavano invisibili sott’acqua, emergendo solo al momento del lancio. Ecco perché nella prima guerra mondiale si parla per lo più di “sommergibili”, unità che potevano immergersi, ma che agivano offensivamente solo riemergendo a pelo d’acqua, per scagliare siluri o aprire il fuoco col cannone in dotazione. “Sottomarini”, invece, sono a pieno titolo i battelli capaci di portare la loro offesa anche restando sotto la superficie del mare. Quelli nucleari odierni sono sottomarini e non sommergibili, quindi. L’U-1 del 1906 era invece un sommergibile e mai avrebbe potuto essere considerato un sottomarino.
Dieci anni dopo, la Marina tedesca aveva affidato al comandante von Spiegel un battello molto evoluto rispetto al prototipo iniziale. Dal 1913 i tedeschi chiamavano Unterseboote (navi sottomarine) i loro sommergibili, da qui l’abbreviazione U-Boot. All’inizio della guerra, nel 1914, ne avevano già trenta, un numero decisamente ragguardevole.
Quello di Edgar era l’U-93, affondato a fine aprile 1917 da una nave “esca” britannica, un mercantile che sembrava una preda facile, ma nascondeva un equipaggio di marina e soprattutto un armamento pesante, micidiale per i sommergibili che si avvicinavano, certi di poter segnare un altro successo nello score di missione.
L’U-93 cola a picco, ma von Spiegel e il personale nella falsa torre finiscono in mare e vengono salvati dagli avversari. Comincia la prigionia di guerra dell’ufficiale prussiano, raccontata nel volume insieme a vari episodi di azione e navigazione, oltre alla detenzione nel castello di Donington Hall, luogo di prigionia di “lusso” per ufficiali, nel Leicestershire.
La prigionia del comandante era cominciata non altrettanto bene, a parte i primi giorni in cui i marinai dell’unità britannica avevano riservato ai naufraghi nemici un trattamento cavalleresco e amichevole, come si usa tra uomini di mare.
Il nobile prussiano conosce perfettamente l’inglese e questo lo aiuta molto, ma nota una grande differenza tra l’atteggiamento cameratesco che gli aveva riconosciuto la Marina britannica e la freddezza con cui viene gestito impersonalmente dall’Esercito, dal quale è stato preso in custodia. Nel trasferimento in treno dal porto a Londra ha modo di osservare la rabbia aggressiva che la popolazione inglese dimostra nei confronti dei sommergibilisti tedeschi, colpevoli di affamare e uccidere, silurando i mercantili che portano rifornimenti vitali nelle isole britanniche.
I locali dove lo rinchiudono, nel Royal Detenction Camp in Oxford Street, sono luridi e puzzolenti, indecenti sotto ogni aspetto e indegni per un uomo, ma tutto cambia dopo gli interrogatori, quando gli inglesi accertano che von Spiegel è il comandante del sommergibile che ha affondato l’Horsa ma si è prodigato per salvarne e mettere al sicuro l’equipaggio, poi riportato in patria da una unità amica.
È il suo alto senso di lealtà militare, sono i suoi valori umani e militari a meritargli la prigionia dorata nell’eccellente residenza di Donington.
Von Spiegel alterna la realtà della prigionia alle vicende sull’U-202 (è così che chiama la sua unità).
Inferno e paradiso i sommergibili, si diceva. Lo conferma il bravo tenente di vascello (questo il suo grado corrispondente ai nostri). Tra i ricordi, c’è la riuscita manovra evasiva per sottrarsi all’incrociatore inglese che gli dava la caccia.
Dopo l’immersione rapida a 40 metri, aveva attraversato da poppa a prua il battello sottomarino, per godere del silenzio e dell’atmosfera di pace e concordia che accomunava tutti gli uomini dell’equipaggio.
Sopra la superficie li attendeva la morte, sotto si respirava tanfo di sudore, panni mal lavati, aria consumata. Dividevano spazi angusti, ma si poteva considerare salva la vita, se le cannonate e le bombe di profondità non creavano falle nello scafo.
È il ricordo dei suoi uomini quello che ricorre più spesso in un libro elegante. Una bella storia di mare.
Nell’inferno degli U-Boot
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