Non andateci! Il mistero del Passo Dyatlov
- Autore: Svetlana Oss
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Un mistero macabro, che resiste da sessant’anni. Chi o cosa ha causato la morte terribile sugli Urali di nove giovani alpinisti russi, in piena forza e salute? Due anni fa, le edizioni LoGisma di Vicchio (FI) hanno pubblicato il più recente saggio di una giornalista russa, Svetlana Oss, Non andateci! Il mistero del Passo Dyatlov (2017, traduzione di G. Lazzeri 208 pagine, 14.50 euro). Gli eventi drammatici accaddero la notte del 2 febbraio 1959. Nell’inverno 1959, un gruppo di studenti e neo laureati dell’Istituto Politecnico degli Urali persero la vita durante un’escursione verso il monte Kholat Syakhl, in Siberia. Erano sette uomini e due ragazze, tutti tra i 20 e 24 anni, tranne Zolotariov che ne aveva 37. Ancora oggi, nessuno ha potuto stabilire cosa sia accaduto.
Da poco, nel 60° anniversario, le autorità russe hanno comunicato di voler riaprire le indagini con moderni strumenti di rilevazione, mentre l’inchiesta governativa concluse allora, in modo ambiguo, che la morte era stata provocata da una “forza travolgente”, senza chiarire di quale natura fosse o da cosa fosse stata generata.
Kholat Syakhl: il nome della montagna è la traslitterazione di Holatchahl, datogli dal popolo Mansi, "Montagna della morte". Quando la spedizione di soccorso raggiunse la foresta nella taiga, i nove corpi vennero ritrovati in luoghi diversi, in condizioni svariate ed anche in tempi distanziati.
La tenda era mezza sfasciata e coperta di neve, con lacerazioni evidenti provocate da numerose coltellate. Con stupore si notò ch’erano state inferte dall’interno verso l’esterno. Quasi tutti gli scarponi erano lì. Impronte di otto, nove coppie di piedi nudi, oppure coperti da calze o da un singolo scarpone, si interrompevano dopo qualche centinaio di metri.
I primi due cadaveri, accanto ai resti di un piccolo fuoco da campo, indossavano la sola biancheria intima e risultavano congelati (di notte si toccavano i 25-30° sottozero). Segni di frenetico sfregamento sugli alberi vicini e sulle mani. I rami erano spezzati fino a un’altezza di diversi metri.
Se altri tre corpi vennero trovati a distanze varie, vestiti sommariamente, occorsero due mesi per rinvenire gli altri quattro, più lontano, in una specie di rifugio scavato da loro e coperto di fronde alla meno peggio. Si erano abbondantemente coperti con indumenti vari e pur non mostrando ferite esterne avevano subito consistenti danni fisici interni, come se fossero stati sottoposti a una forza notevole. La decomposizione era accentuata, ad una ragazza era stata asportata la lingua e tanto i cadaveri che i vestiti emettevano chiare tracce di radioattività.
Fin troppe stranezze, tante domande, ma nessuna risposta sul caso del Passo Dyatlov (dal nome del capospedizione). Si tenga conto della mancanza totale di trasparenza nell’Urss comunista. La censura di regime, il rigore poliziesco e l’impenetrabile controllo del famigerato Kgb rendevano qualsiasi notizia top secret. Anche il più banale degli eventi doveva restare oscuro, figurarsi un episodio complesso e controverso quale la sorte della spedizione Dyatlov.
Un mistero nel mistero risultano i referti delle autopsie. Per i primi cinque corpi sembrava plausibile il congelamento come causa di morte, le ferite non erano state tanto gravi da compromettere la vita. Uno dei ragazzi, però, presentava una frattura estesa del cranio, impossibile stabilire se dovuta a un colpo o all’aumento di volume del cervello per effetto del gelo. Gli ultimi quattro non avevano ferite sui corpi, ma in tre presentavano notevoli danni interni. Dieci costole di Lyuda Dubinina erano rotte, quattro a destra, sei a sinistra. Il cranio di Tibo era fratturato, ma in modo strano, senza ecchimosi.
Il silenzio impenetrabile ha scatenato negli anni le ipotesi più svariate. Si è parlato di tutto: esperimenti militari segreti, il forte vento siberiano che ha fatto uscire di senno gli alpinisti, un’incursione dei mansi, la popolazione siberiana locale ancora legata a tradizioni ancestrali selvagge. Qualunque ipotesi ha trovato spazio, dagli alieni allo yeti della taiga.
Venuta a conoscenza nel 2008 di fondamentali informazioni sulla tragedia, di cui ricordava d’aver sentito parlare da ragazza, Svetlana Oss si è impegnata da giornalista investigativa in una lunga ricerca, riassunta in un articolo sul giornale russo “The Moscow Times”. È stato probabilmente il primo redatto in inglese sull’evento ed ebbe un’eco mondiale impressionante. Nel 2013 ha poi cominciato a scrivere Non andateci! Il mistero del Passo Dyatlov, sempre in inglese, perché voleva proporlo soprattutto oltre i confini della Russia.
Dopo aver minutamente ricostruito fatti e circostanze e speso diversi anni a studiare tutto ciò che riguarda l’enigma della tragedia del Passo Dyatlov, ritiene di aver trovato la risposta al mistero e la espone nel libro. È convinta fermamente che la sua teoria sia la più plausibile ed ha voluto dedicare il saggio a tutti i componenti del gruppo Dyatlov.
Non meritavano di morire così giovani, e specialmente non in quel modo. Ma accadde, e la loro storia merita d’essere raccontata.
Non andateci! Il mistero del Passo Dyatlov
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